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Brexit: ritorno al futuro

Fu Winston Churchill il primo ad invocare la creazione degli “Stati Uniti d’Europa” a seguito della Seconda Guerra Mondiale, poiché si convinse che solo un’Europa unita potesse garantire la pace. Dal famoso “discorso alla gioventù accademica” tenuto all’Università di Zurigo nel 1946: “Esiste un rimedio che in pochi anni renderebbe tutta l’Europa libera e felice. Esso consiste nella ricostruzione della famiglia dei popoli europei, o in quanto più di essa riusciamo a ricostruire, e nel dotarla di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza ed in libertà. Dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa.”

Oggi Winston Churchill non c’è più e la Gran Bretagna è ben lontana da quell’idea.

“Ho fatto del mio meglio, purtroppo non sono riuscita a far passare la ratifica della Brexit, malgrado ci abbia provato tre volte”. Così Theresa May ha annunciato le sue dimissioni il 24 maggio davanti alla sua residenza da primo ministro al 10 di Downing Street. Venerdì 7 giugno ha confermato la sua decisione dimettendosi da leader dei Tories, pertanto la formazione conservatrice dovrà nominare il nuovo leader entro la fine di luglio.

Le dimissioni della May arrivano in un momento delicato per la Gran Bretagna: nonostante il Paese abbia annunciato la volontà di uscire dall’Unione Europea (Brexit), non avendo ancora trovato alcun accordo sul recesso, ha eletto 70 deputati al Parlamento di Strasburgo. Il Brexit Party di Nigel Farage ha ottenuto il 31% delle preferenze ed è il partito più votato. I laburisti di Jeremy Corbyn al terzo posto, superati anche dal partito liberal-democratico (storicamente il terzo partito del Regno Unito e uno dei pochi apertamente contrario a Brexit). È il peggior risultato negli ultimi 200 anni per i Tories. I parlamentari britannici potrebbero dimettersi entro pochi mesi con una ripartizione dei seggi tra gli altri 27 paesi dell’UE, se e quando la Brexit diventerà realtà.

Ma del resto i rapporti tra Gran Bretagna ed Unione Europea sono sempre stati molto turbolenti. Nel 1960 la Gran Bretagna ha creato l’EFTA (European Free Trade Association) insieme ad altri stati: Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera. Stati che non desideravano o non potevano ancora entrare nella CEE (Comunità Economica Europea). L’ EFTA era ed è un’ organizzazione di carattere economico che promuove il libero scambio e l’integrazione economica tra gli stati membri e ad oggi ne comprende 4: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

La Gran Bretagna è sempre stata chiamata ad entrare nella CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) o nella CEE, ma rifiutava per via degli stretti legami che aveva con gli Stati uniti d’America e perché era ancora un impero coloniale.

L’EFTA creava vincoli meno stretti rispetto alle prime comunità europee di allora, ma la Gran Bretagna si era accorta che non le offriva un mercato come la CEE perché era un’organizzazione troppo piccola e per questo nel 1961 il Regno Unito aveva chiesto di aderire alla CEE. Per poter entrare a farne parte, come oggi per l’Unione Europea, era necessario il consenso di tutti gli Stati membri. Le prime adesioni della Gran Bretagna sono sempre state respinte dalla Francia (dal generale Charles de Gaulle) per i forti legami dimostrati con gli USA. Nel 1973, dopo la morte di de Gaulle, la Gran Bretagna entra nella CEE con numerose contestazioni da parte del partito laburista sulle condizioni di adesione. Nel 1975 viene svolto un referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nella CEE e il 67% dei voti si esprime a favore.

I rapporti si fanno più tesi dal 1979 al 1990 con Margaret Thatcher. La Primo Ministro contestava qualsiasi progresso politico e si opponeva all’integrazione di altri Paesi. Si delineava sempre meglio un’estrema diffidenza della Gran Bretagna nei confronti dell’Unione arrivando al “procedimento di differenziazione“: la Gran Bretagna si sottrae alla moneta unica e ottiene deroghe ai diritti fondamentali. Non partecipa a alla Convenzione di Shengen e alla Cooperazione giudiziaria civile e penale.

Nel maggio 2015 il partito dei Tories di David Cameron ottiene la maggioranza dei seggi. Egli aveva basato la sua campagna elettorale sulla rinegoziazione delle condizioni di appartenenza della GB all’UE. La sua proposta era forse un pò provocatoria ma non vi era l’intenzione di uscire realmente dall’Unione. Il Primo Ministro voleva solo trovare un accordo con gli Stati membri in modo da ridefinire il ruolo della Gran Bretagna nell’ UE, allontanare le spinte anti europeiste che si erano create concedendo un referendum come valvola di sfogo, per poi concentrarsi sugli altri problemi del Paese. Tuttavia nel referendum consultivo del 23 giugno 2016 la maggioranza (52%) si esprime con voto favorevole all’uscita dall’Unione.

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Si apre un periodo di incertezza totale perché è la prima volta che uno Stato decide di recedere. Si applica l’art 50 TUE (Trattato sull’Unione Europea) secondo il quale “Ogni stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali“. Lo stato membro che intende ritirarsi deve notificare la sua decisione al Consiglio europeo. Il recesso può essere concordato oppure unilaterale. Il recesso è concordato se si arriva alla conclusione di un accordo tra Unione e lo Stato recedente “volto a definire le modalità di recesso” e tenendo conto delle future relazioni dello stato recedente con l’unione. Il recesso unilaterale avviene invece qualora non sia possibile raggiungere un accordo sulle modalità di recesso entro due anni dalla notifica dell’intenzione di ritirarsi (termine prorogabile da parte del Consiglio europeo).

La notifica da parte del governo del Regno Unito è avvenuta il 29 marzo 2017. A due anni da questa, nel momento in cui si rischiava di recedere senza accordo, il 29 marzo 2019 il presidente del consiglio europeo Donald Tusk convoca un vertice straordinario sulla Brexit per il 10 aprile 2019 perché la Camera dei Comuni ha respinto l’accordo di recesso proposto da Theresa May per la terza volta. Il 10 aprile i leader UE acconsentono a rinviare la Brexit al 31 ottobre dichiarando che se le due parti dovessero ratificare l’accordo di recesso prima, il Regno Unito uscirebbe il primo giorno del mese seguente.

Le ipotesi sulla possibile fine della Gran Bretagna non sono tante.

1) Potrebbe tornare nell’EFTA. Moltissime regole sul funzionamento del mercato unico dell’Unione Europa vengono esaminate da un organo comune formato da membri dell’EFTA e dell’UE, e viene deciso quali norme saranno applicate anche agli stati dell’EFTA. Per stati piccoli come quelli attuali che ne fanno parte questo è accettabile, ma per la Gran Bretagna non lo sarebbe, dato che l’uscita dall’UE è finalizzata alla riappropriazione della sovranità su certi ambiti.

2) Potrebbe ottenere una posizione simile alla Svizzera: la Confederazione elvetica è legata con l’UE da 120 accordi bilaterali ma non partecipa al mercato unico.

3) Avrebbe un legame simile a quello tra Turchia ed UE, fondato su accordi molto blandi

4) Diventerebbe stato terzo a tutti gli effetti senza nessun rapporto con l’Unione e in questo caso il governo dovrebbe rinegoziare più di 700 trattati economici e commerciali con il resto del mondo.

Infine, Se la Gran Bretagna volesse aderire nuovamente all’UE, potrebbe farne richiesta e intraprenderebbe una procedura di adesione ex novo (stabilita dall’art 49 TUE).

Bisognerà aspettare ancora qualche mese o più per capire che esiti avrà la Brexit, anche per quanto riguarda la Scozia e l’Irlanda del Nord. Sicuramente si scriverà una pagina di storia molto importante per l’Europa.

La Brexit e uno degli esempi del sovranismo che sta dilagando non solo in Europa ma nel mondo. Molti Stati intendono preservare e ri-acquisire la propria sovranità nazionale contrapponendosi alle organizzazioni internazionali e sovranazionali.

La paura diffusa in Europa è che questo crescente anti-europeismo possa diventare una moda e che porti altri Paesi a chiedere la possibilità di esercitare l’art 50 TUE.

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