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Barcellona, la Prometeo incatenata

Il fuoco divino era lì, incustodito; e Prometeo ne imprigionò alcuni semi scintillanti nella ferula, il bastone cavo che gli aveva donato lo stesso Vulcano. E via, a precipizio, giù verso la terra desolata!” [1] 

La punizione che il titano subisce a causa del suo gesto è terribile: Zeus lo incatena a una roccia in una zona esposta alle intemperie e ogni giorno invia un’aquila che gli dilania il fegato, il quale ogni notte puntualmente ricresce, in un circolo crudele che non conosce pause.

Il mito di Prometeo è così conosciuto grazie all’influenza che continua a esercitare sulla cultura occidentale. La figura ribelle che non accetta di sottomettersi all’autorità e vi si oppone è stata più volte ripresa come esempio di coraggio o di disobbedienza, a seconda dei casi.

L’analogia del personaggio mitologico con Barcellona mi è sembrata immediata quanto spontanea. Non mi riferisco solo alla città dell’ultimo mese, quella del referendum per l’indipendenza decretato illegale dal governo spagnolo, della Guardia Civil che aggredisce gli elettori, della Repubblica catalana durata meno di un pomeriggio. Barcellona porta sulla sua pelle le vittorie e le cicatrici di un passato da lottatore.

La guerra civile ha visto la città protagonista di una stoica resistenza contro i franchisti, ma più in generale contro il fascismo e il nazismo. Due parole: Olimpiada Popular. Nel luglio del 1936, il governo spagnolo sceglie di non partecipare ai Giochi Olimpici di Berlino e organizza nella città catalana una contromanifestazione. Quando tutto è ormai pronto per la cerimonia di apertura, accade l’inevitabile. L’estate di quell’anno rimarrà infatti famosa per un altro evento, che di fatto impedisce lo svolgimento dell’olimpiade: lo scoppio del conflitto in Spagna.

Maggio 1937: George Orwell scrive di Barcellona nel suo Omaggio alla Catalogna ritenendola la patria dell’uguaglianza. La città è nelle mani degli anarchici e forme servili come Señor o Don sono proibite. Ma l’atmosfera rivoluzionaria che avvolge la città è destinata presto a tornare ai rigidi canoni imposti dal comunismo. Le Cinque giornate di maggio travolgono Barcellona ed eliminano coloro che sono ritenuti colpevoli di aver tradito gli ideali del partito, ristabilendo una situazione di controllo.

L’inizio della dittatura punisce duramente la città, abolendo il catalano e trasformando il castello di Montjüic in un carcere gremito di prigionieri. La sua posizione elevata rispetto al centro cittadino lo rende una presenza lugubre e incombente. Il 1940 è l’anno della morte di Lluis Companys, presidente del governo della Catalogna, sottoposto a un processo sommario e fucilato per poi essere gettato in una fossa comune. La sua serenità e le sue ultime parole Per Catalunya! risuonano come una sfida.

Il Més que un club scritto a grandi lettere sulle tribune dello stadio è un segnale dell’importanza che il calcio ha da sempre in città. Oltre all’assassinio del presidente del club Josep Sunyol nel 1936 ad opera di alcuni militari franchisti, lo sport riflette la realtà nel momento in cui Franco decide di prendere sotto la sua protezione il Real Madrid, relegando il Barcellona a essere il simbolo dell’opposizione. Nonostante l’avversione del dittatore e i continui tentativi di sabotaggio, la squadra annovera il periodo come uno dei più vittoriosi della sua storia.

Gli edifici più simbolici della città, fra cui la Sagrada Familia, sono testimoni del cosiddetto modernismo catalano, che si distingue dal movimento che si sviluppa nel resto dell’Europa per la sua particolare combinazione di elementi della cultura catalana all’interno di forme architettoniche sperimentali ed esuberanti. L’obiettivo che ha condotto alla nascita di questa forma d’arte è la volontà di distinguersi dall’immobilismo del resto del Paese.

Barcellona ha lanciato da poco l’ennesima sfida. Una sfida radicata in un centro abituato alla ribellione e all’indipendenza. Una sfida che molti criticano perché considerata un’ambizione esagerata e condannata aspramente dal governo spagnolo. Riuscirà questa volta Prometeo a liberarsi dalle catene o rimarrà condannato alla sua eterna punizione?

[1] ESIODO, Teogonia, 535-569

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