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Apocalypse Kong: un film sul magnificente Re scritto da scimmie

Quando c’è Kong sullo schermo si gode, per davvero. Viene voglia di urlare e incitarlo. È uno scimmione enorme, grandioso, colossale, molto più aggressivo e ancestrale che non quello di Jackson, un riuscitissimo mix di elementi di scimpanzè, australopiteco e wrestler. Sì, perchè questo Kong è davvero un lottatore, fiero, spietato e furente, mosso da una cieca ferocia che ancora non aveva sperimentato a fondo. I vari scontri del Re sono KONG-SKULL-ISLAND-04avvincenti e ben costruiti, ma restano putroppo l’unica parte davvero interessante dell’intera pellicola, dominata altrimenti da una sceneggiatura piatta, da dialoghi che oscillano tra il banale e l’assurdo senza mai soffermarsi nel limbo dell’apprezzabile e da battute degne di Colorado. La scrittura non è per nulla ricca, tanto che perfino gli attori sembrano non crederci fino in fondo e traspare la poca convinzione che hanno in quel che stanno dicendo.

La scelta di cast non è azzeccatissima: John Goodman a fare lo scienziato frustrato ci sta strettino (e non per la sua stazza), mentre John C. Reilly si addossa i siparietti comici del film, con scarsi e deludenti risultati; è inoltre palese che Jing Tian e Corey Hawkins siano stati scelti solo per dare al cast rappresentanze etniche asiatiche e afroamericane che non interpretassero il classico ufficiale vendicativo e determinato (Samuel L. Jackson) o il soldato dai buoni sentimenti sul modello Bubba di Forrest Gump (Jason Mitchell). Evidentemente chiamato solo per attirare un pubblico femminile teen affezionato all’antieroe asgardiano della Marvel, Tom Hiddleston è piuttosto spaesato e a sproposito nel ruolo del duro mercenario tradizionalmente calzato da attori di fisico e mimica granitica come Jason Statham, Vin Diesel o, se proprio si voleva ammiccare al franchise Marvel, Jeremy Renner. Far interpretare il John Rambo della situazione al longilineo belloccio dagli occhi azzurri non è stata la migliore delle idee per il casting. Samuel L. Jackson, alla soglia della veneranda età di settant’anni, mette in scena un personaggio molto più tosto, che dovrebbe tenere testa a King Kong. Ma nemmeno lui ci riesce. Il Re regna.

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Tra gli interpreti last but not least riserviamo un posto speciale alla bella Brie Larson, che si misura col ruolo che fu di Fay Wray, Jessica Lang e Naomi Watts, ovvero quello della bionda amata di Kong. Cambiano il nome, il mestiere e un po’ il ruolo, ma non cambia la sostanza: la diva Ann Darrow lascia il posto alla fotografa Mason Weaver, che non dovrebbe più solo essere l’oggetto dell’incondizionato amore del principe dei primati bensì una donna autonoma e forte. L’intento probabilmente voleva essere quello, ma la realtà è ben diversa: a parte qualche foto agli indigeni e un colpo da cecchino con un razzo da segnalazione alla testa di un rettiloide la sua messa in piega sempre perfetta, dall’umidissima Saigon alla giungla dell’Isola del Teschio, la cannottierina appena uscita di lavanderia, succinta a disegnare bene le forme sottolineate da una tracolla posizionata a dovere, consegnano al pubblico l’ennesima donna-oggetto da action-movie. Brie Larson è molto brava, ha un sorriso incantevole e non è la top model che ci aspetterebbe per il ruolo in un blockbuster come Kong: Skull Island, scelta assai accorta e apprezzata. Delude alquanto l’assenza quasi totale del rapporto tra Kong e la ragazza, che era invece la tematica principale dell’epopea; qui è appena accennata, un ammiccare un po’ goffo a coloro che già conoscono la storia.

Sorpresa: gli indigeni non sono più cattivi, sono semplicemente inutili e servono soltanto a caratterizzare un pochino la protagonista come fotografa d’avventura, oltre ad essere oggetto di un’apologia della vita semplice e bucolica piuttosto ridicola. Le mura ciclopiche costruite per tenere lontani i mostri non sono poi così alte e Kong le scavalcherebbe con molta facilità, ma la parte ambientata nel piccolo villaggio è così ridotta da non farci nemmeno caso.

KONG-SKULL-ISLAND-05L’ambientazione del 1973 è una scelta conveniente per più ordini di ragioni, non da ultimo la colonna sonora, che unisce una playlist dei Creedence Clearwater Revival e altre rock bands americanissime dei primi anni settanta alle musiche originali firmate da Henry Jackman, invece molto sottotono. Come si era già potuto apprezzare nel trailer, citazionismo, echi e prestiti sono un po’ ovunque. Attingendo al fortunatissimo filone cinematografico della guerra in Vietnam il buon regista Jordan Vogt-Roberts raccatta da Apocalypse Now, Saigon, Platoon e perfino Miss Saigon tutto quel che è in grado di infilare nella sua pellicola. E ci riesce bene: alcune citazioni sono encomiabili e godibilissime, su tutte la scena degli elicotteri con la musica. La fotografia stessa si rifà molto alle luci un po’ gialle del genere, con colori però molto intensi. Con un occhio sempre alla fotografia e uno ai visual effects bisogna ammettere che l’estetica del film è molto ben fatta e personale, sebbene gli scontri tra gli uomini e i vari mostri dell’isola non siano carichi della stessa intensità che invece avevano nel King Kong del 2005. Nonostante i diversi momenti e le varie aree dell’isola siano ben caratterizzati da luministica appropriata, la dinamica delle lotte non è drammatica, i decessi e gli attacchi “casuali” che occorrono a sorpresa nello scorrere della trama hanno un effetto esilarante (e spero fosse questo l’intento del regista). L’impressione generale è di una regia curata ma senza azzardi, quindi piuttosto canonica e presto dimenticata.

Il problema principale di Kong: Skull Island è che tenta di essere un po’ tutto senza riuscire in niente. Non è un film sulla guerra in Vietnam, non è una storia d’amore, non è un action-movie con un protagonista duro e cattivo, non è un moster-movie con risvolti po’ orridi, ma soprattutto non è il film di Kong. Il Re domina, ma c’è per troppo poco tempo sullo schermo. Si può quasi arrivare a dire che ci sia troppa poca azione e che, vista la scrittura, si sarebbero potute tagliare parti inutili di script e dare più spazio allo scimmione. Hanno forse tentato di tenerlo in serbo per il massivo Godzilla vs King King del 2020, ma in questo modo hanno ridotto le sue potenzialità sceniche in questo capitolo riducendo la pellicola ad un film poco più che decoroso.KONG-SKULL-ISLAND-01

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