Cultura

ANTEPRIMA/ FRANKENWEENIE

di Silvia Piccone

“Una nuova splendida creazione”: è così che Tim Burton definisce il suo terzo capolavoro in stop motion, bianco e nero e 3D.

Gusto retrò ed avanguardia, dunque, che si fondono in una storia intima e personale tratta dall’omonimo cortometraggio in live-action girato ventotto primavere or sono ed adattato a lungometraggio d’animazione in uscita nelle sale italiane il prossimo 17 Gennaio.

Un grande ritorno ai temi della provincia americana, alla giovinezza del regista ed alla sua tipica delicatezza animata.

Frankenweenie scalderà i cuori di chi ancora non ha relegato l’eccentrico regista nella lista nera degli artisti dimenticati: si vocifera che alla soglia della sua sedicesima fatica egli abbia smarrito il suo tipico estro visionario che lo ha consacrato re del cinema dark, senonchè quest’ultima favola gotica di tutto sembra fuorché essere lontana dagli alti e prestigiosi canoni burtoniani già conosciuti ne “La sposa cadavere” e “Nightmare before Christmas”.

Il film non vanta la composta solennità del romanzo della Shelley né l’ironica malizia di Mel Brooks bensì la dolorosa poesia degli sguardi tristi, quella che appartiene solo ai personaggi di Tim Burton, introspettivi e rinchiusi in mondi interiori emotivamente esplosivi, vagamente percepibili e di difficile comprensione. Rimangono sempre nella aria le atmosfere dei suoi film più belli, sfuggendo all’umano raziocinio grazie alla magia delle forme sicure e tondeggianti, degli occhi grandi e dei corpi spigolosi realizzati con immensa dedizione dai suoi collaboratori.

Si parla di oltre duecento pupazzi curati nel dettaglio dagli artisti dell’Ospedale dei pupazzi, costantemente rimessi a punto grazie alla speciale collaborazione dei reparti di scultura, modellini, costumi, trucco e parrucco ad essi dedicati.

E quando si tratta di stop motion le tempistiche sono assai lunghe assicura Tim Burton: “E’ una tecnica particolare, affascinante, ma ci vuole pazienza”, uno degli animatori fidati del regista svela: “Mi ci vorrà una settimana per girare una scena di tre secondi”.

Ai margini della cittadina californiana di New Holland, nasce, dunque, una dolce storia di amicizia e di sentimenti che valica i confini della vita e della morte, senza dimenticare l’orrorifica presenza di scimmie di mare, topogatti e tartasauri cattivi che animano la scena madre “del caos”, che porterà al finale solenne di cotanto capolavoro.

“Strange Love” canta Karen O sui titoli di coda, perché, quando tutto manca, si sa, solo il proprio cucciolo del cuore può alleviare la solitudine del mondo.

Una semplice storia, commovente e senza complicati intrecci, riporta definitivamente Tim Burton nell’olimpo dei geni talvolta incompresi. Ah, la Deliranza, che Bellanza!

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