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Afghanistan: il cimitero degli imperi

Il 15 agosto 2021, a meno di un mese dal ventennale dell’attentato dell’11 settembre, i talebani hanno occupato Kabul, la capitale dell’Afghanistan, decretando così nella pratica la fine della Repubblica Islamica dell’Afghanistan e reinstallando l’Emirato Islamico dell’Afghanistan, il nome che il Paese aveva assunto durante il loro regime fra il 1996 e il 2001.
Il Paese è nel caos: le immagini dei cittadini che per scappare si attaccano agli aeroplani in volo e la disperazione delle donne afghane sono l’emblema del fallimento dell’occupazione americana e occidentale in un Paese noto con il tetro soprannome di “cimitero degli imperi”. Gli USA sono gli ultimi di una lunga serie di Stati che si sono dissanguati senza risultati in quel territorio feroce e tormentato che prende il nome di Afghanistan; immediatamente prima di loro c’erano stati i russi (all’epoca ancora ufficialmente sovietici) ed erano stati scacciati proprio grazie al supporto americano ai mujadeen, i guerriglieri islamici che oggi hanno cacciato gli yankees. La Cina e la Russia hanno già fatto sapere che saranno pronte ad intrattenere relazioni amichevoli con i talebani, ufficialmente per finalità umanitarie, ma nella pratica con obbiettivi geopolitici. Chissà se anche loro si faranno inghiottire dal buco nero delle montagne afghane.

L’Afghanistan: una prospettiva storica e geografica
La nomea del piccolo Paese dell’Asia centrale di incubo di ogni invasore è nota da secoli. Le ragioni dell’ingovernabilità di questa terra sono molteplici, ma le più decisive sono probabilmente la collocazione geografica ed etnica: il territorio che corrisponde all’Afghanistan è il crocevia fra l’Oriente e il Medioriente, e di conseguenza poi l’Europa. Virtualmente, ogni popolo nomade che sia nato nelle steppe eurasiatiche e ogni impero che si sia espanso oltre i confini dell’Asia orientale è passato di lì. A livello geografico, il territorio è molto tortuoso e dominato dalle montagne, fra cui l’Himalaya, con deserti e zone che rendono difficile sviluppare grandi centri urbani se non pochi e localizzati, imponendo a buona parte della popolazione un sistema di vita seminomade e tribale, con serie difficoltà nella creazione di unità organizzative vaste e complesse. Questa posizione ha avuto anche un impatto consistente sulla situazione demografica: in Afghanistan non esiste una maggioranza etnica in termini assoluti e non lo si può definire uno stato nazionale, visto che il gruppo etnico più diffuso, i Pashtun, non arriva neanche al 40% della popolazione complessiva. La situazione di molti Paesi nati dalla decolonizzazione, in cui i confini sono stati spesso stabiliti in modo arbitrario e causando fortissimi contrasti etnici (Congo, Rwanda, Sri Lanka, Burundi, …) risulta particolarmente amplificata per questo territorio di confine, soprattutto per la storia recente.

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(Mappa via CIA—UT Austin Map Library)

La storia dell’Afghanistan come Paese nasce nella pratica solo nel 1747 con l’Impero Durrani, fondato da varie tribù Pashtun che si espansero in un territorio più ampio dell’attuale Stato, ma comunque definibil più o meno entro quei confini. Il primo Re dell’Afghanistan fu il fondatore dell’Impero, Ahmad Shāh Durrān, membro del popolo Pashtun. L’Impero si espanse nei territori dell’attuale Pakistan e condusse anche alcune campagne in India; dopo circa un secolo di splendore cadde a causa della lotta con i Sikh e delle rivolte interne, facendo nascere l’Emirato dell’Afghanistan. La situazione rimase la stessa che proseguiva dall’alba dei tempi per quei territori: conflitti, espansioni, rivolte e confini poco definiti. Tuttavia, nell’Ottocento si trovarono di nuovo al centro dell’interesse internazionale, con l’arrivo dei britannici in India e dei russi in Asia centrale. I due imperi erano impegnati in una lotta geopolitica, la loro versione della Guerra fredda (il “Grande gioco” come lo chiamò Kipling), un conflitto di spie ed esploratori per mantenere la superiorità sull’altro, che lo storico e giornalista Peter Hopkirk ha magnificamente immortalato nell’omonimo libro. I britannici temevano un’invasione russa dell’appena conquistata India (rischio in realtà inesistente, visto che oggi ogni tentativo di invadere l’India dall’Afghanistan si potrebbe definire tranquillamente un suicidio, ma all’epoca non si sapeva) e quindi si occuparono immediatamente di quello sconosciuto e apparentemente innocuo lembo di terra. Per trasformare il paese in un protettorato britannico ci vollero ben due guerre, e la terza guerra (1919) fu quella con cui l’Afghanistan riacquistò l’indipendenza. L’arrivo dei britannici ebbe due importanti conseguenze per il Paese: divenne il fulcro della politica internazionale e venne tracciata Linea Durand. Poiché era, almeno sulla carta, un Paese autonomo, la Linea Durand divideva il Pakistan (britannico) e l’Afghanistan. Tuttavia, questo confine divideva i Pashtun in due territori in modo artificiale: questo evento è fondamentale per il Paese, perché il conflitto etnico e il nazionalismo Pashtun sono forse i due argomenti centrali dell’Afghanistan ancora oggi.

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Vignetta satirica ottocentesca che riporta un uomo afghano braccato a sinistra dall’orso che rappresenta la Russia, a destra dal leone che rappresenta l’Inghilterra (immagine via Alamy).

Modernizzazione e reazione
Il contatto con l’Occidente portò idee nuove nel Paese. Le élite afghane iniziarono a formarsi con i nuovi conquistatori, acquisendone i costumi e cercando di adottarne i punti di forza. Con l’indipendenza arrivarono anche le spinte modernizzatrici, e l’Emirato divenne Regno. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, però, i britannici lasciano il territorio e il Pakistan diviene indipendente. Con questo Paese le relazioni ancora oggi sono contradditorie e l’Afghanistan fu l’unico a votare contro il riconoscimento del nuovo Stato nel 1947, poiché i Pashtun più nazionalisti sognavano la creazione di un unico grande Stato Pashtun, che comprendesse quindi anche quelli presenti nel territorio pakistano.
Nella seconda metà del Novecento i monarchi afghani, in particolare Mohammed Zahir Shah, tentarono di modernizzare il Paese, con risultati ambivalenti: l’Afghanistan si tenne fuori, almeno inizialmente, dai giochi di USA e URSS e riuscì ad attirare investimenti creando alcuni centri industriali e raggiungendo alcune modernizzazioni sociali, ma il contrasto tra la campagna, dove viveva la maggioranza della popolazione a un livello essenzialmente premoderno, e le metropoli, con le nascenti classi medie ed urbane, si rese troppo marcato. I progressi vennero giudicate da quest’ultime troppo lenti ed insufficienti e nel 1973 il cugino del re, Mohammed Daoud Khan, prese il potere mentre il sovrano era all’estero. La Repubblica dell’Afghanistan dura appena cinque anni: Daoud si aliena i comunisti afghani, di cui inizialmente aveva il supporto, e le minoranze etniche con le sue politiche caratterizzate da un forte autoritarismo e da un marcato nazionalismo pashtun, che infastidisce gli altri gruppi etnici. Secondo la minoranza comunista afghana, Daoud stava spostando l’Afghanistan troppo vicino agli USA. Il 27 aprile 1978 il Partito Popolare Democratico dell’Afghanistan prende il potere, con il supporto dell’Unione Sovietica.

La guerra con l’URSS
I comunisti intraprendono una serie di riforme radicali della società afghana, dall’economia (che segue il modello sovietico) alla società (il secolarismo ed i diritti delle donne in primis). Il contrasto fra un partito essenzialmente urbano che proclama la lotta di classe antimperialista in una società essenzialmente tribale è troppo, e i comunisti diventano sempre più brutali nella repressione, costringendo di fatto l’URSS a invadere il Paese. A questo punto la rivolta diventa aperta: i combattenti afghani si definiscono mujadeen, guerrieri impegnati in un jihad contro l’invasore, unendo nazionalismo e tradizionalismo (soprattutto religioso). Gli USA e il Pakistan decidono di aiutare finanziariamente e militarmente la resistenza afghana, in nome della Guerra fredda e della realpolitik. I guerriglieri ricevono supporto anche da combattenti stranieri e da altri Paesi. Fra i volontari c’è anche il rampollo di una ricchissima famiglia saudita, Osama Bin Laden, che formerà Al-Qaeda proprio durante la guerra. Dopo 13 anni di conflitto, nel 1988 i sovietici non reggono e si ritirano. La guerra in Afghanistan avrà un ruolo centrale nel crollo dell’URSS, tanto da essere soprannominata “il Vietnam sovietico”. L’anno dopo il governo afghano, moderatosi e ufficialmente passato al socialismo islamico (una sorta di Democrazia Cristiana afghana) cerca di mediare con i Mujadeen, ma è inutile. I gruppi ribelli rifiutano l’accordo, in una situazione assai simile a quella attuale, e prendono il potere – come diceva Marx, del resto, la storia si ripete due volte. I gruppi dei mujadeen però sono in conflitto, e uno di questi riesce ad affermarsi: i talebani.

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Truppe sovietiche di ritorno dall’Afghanistan nel 1989 (via Russia Beyond).

I talebani e la guerra con gli Stati Uniti
I talebani erano un gruppo di studenti dell’Islam più ortodosso e radicale in Pakistan, dal quale furono attivamente supportati, che riuscì a imporsi brevemente sugli altri mujadeen. Il governo talebano divenne celebre per la brutalità e l’oscurantismo, dai Buddha di Bamiyan fatti saltare in aria alle violenze contro le donne e le misure repressive quasi psicotiche (fra le varie cose, era vietato applaudire durante le partite di calcio). Ufficialmente un gruppo aperto a tutti gli uomini, nella pratica i talebani attuarono politiche di nazionalismo pashtun, facendo sì che le minoranze ottenessero il supporto degli stati vicini (i vari Stati dell’Asia centrale) e che si unissero alla cosiddetta Alleanza del Nord guidata da Rabbani e Massoud. Fu proprio quest’ultimo che avvertì gli USA di un possibile attacco terroristico, ma non venne ascoltato e fu assassinato il 9 settembre 2001.

Due giorni dopo crollavano le torri gemelle e gli USA di George W. Bush invasero l’Afghanistan, reputato  la base di Bin Laden – non completamente a torto: Bin Laden era protetto in virtù dell’ospitalità, considerata sacra, dalle popolazioni locali. In tempo record, con la decisiva battaglia di Tora Bora (dicembre 2001), gli USA riescono ad occupare l’Afghanistan, ma non ad eliminare i talebani. Gli americani si ritrovarono nella stessa situazione dei russi: avevano il controllo di Kabul e dei più grandi centri urbani, ma non delle campagne, e il controllo richiedeva un’occupazione permanente e costosa. L’incapacità di eliminare i talebani e guadagnare il controllo effettivo è stata determinata anche dalla inadeguatezza delle politiche statunitensi, poco interessate allo sviluppo locale ma soprattutto più opportunistiche che efficaci: la corruzione in Afghanistan sotto di loro è stata endemica, soprattutto nel settore pubblico. È uno dei motivi per cui i talebani si sono trovati senza resistenza: l’esercito era uno dei settori dominati dalla corruzione, in alcuni casi addirittura non esistevano soldati se non sulla carta, per raccogliere gli stipendi di uomini che nella realtà non combattevano. Molto controverso è stato anche il rapporto degli USA con i signori della guerra locali, alleati sì, ma molto discutibili: le alleanze tribali, necessarie in un simile contesto geografico, hanno costituito anche un limite allo sviluppo, e in alcuni casi ci sono state relazioni comprovate con i trafficanti di eroina, come gli alleati dell’ex presidente Karzai, e taluni casi di masochista stupidità nell’amministrazione pubblica americana (come ignorare il supporto che l’ex monarca esiliato aveva in Patria, imponendo un regime straniero e alieno per gli afghani). Detto questo, ci sono stati miglioramenti notevoli nella vita di molti afghani, soprattutto delle donne, e i cittadini hanno più volte manifestato il sostegno per le libertà democratiche e i diritti civili che si sarebbero potuti sviluppare in Afghanistan.

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Un campo militare statunitense in Afghanistan A military camp in Afghanistan (Foto di Wakil Kohsar / AFP, via Getty Images)


Il piccolo Stato dell’Afghanistan si è ritrovato di nuovo al centro della poltica mondiale suo malgrado, e un Paese di poco più di 30 milioni di abitanti è costato lacrime e sangue ad innumerevoli imperi. I talebani, dopo vent’anni di guerra ininterrotta da sommare ai decenni di conflitti precedenti, hanno già intrapreso provvedimenti brutali degni della loro fama, e il futuro non sembra troppo radioso per un Paese che sembra essere immerso nel sangue, con una popolazione martoriata dai cavilli della politica internazionale e di gruppi estremisti e fanatici.

(In copertina: soldati americani vengono portati via da un elicottero dall’avamposto di Terra Nova, a nord di Kandahar. Foto via Bob Strong/Reuters)

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