Attualità

Ad un anno dalla scomparsa

[photo credits: Ansa]

Esattamente un anno fa, al Cairo, spariva un giovane studente italiano. Una settimana dopo il suo corpo è misteriosamente ricomparso a chilometri di distanza da dove risiedeva. Da quel momento si sono susseguite tutta una serie di spiegazioni e moventi tanto assurdi quanto incredibili. Se fosse stato un romanzo spionistico, la trama sarebbe stata anche interessante, ma Giulio Regeni non era una spia e la sua storia è triste e necessita ancora di un finale.

Giulio era uno studente di Fiumicello, trasferitosi in Inghilterra per svolgere il proprio dottorato presso l’Università di Cambridge. Nell’autunno del 2015 si era trasferito, al Cairo, per svolgere la propria ricerca di campo, ovvero era andato a vivere nel luogo oggetto dei suoi studi per poter reperire delle fonti e delle informazioni in modo diretto.

Con il sostegno della professoressa Maha Abdelrahman e dell’American University of Cairo stava svolgendo uno studio sui sindacati indipendenti egiziani e sui loro diritti, in particolare quello dei venditori ambulanti. Di base ciò che studiava non era nemmeno tanto pericoloso, ma sicuramente molto interessante. Gli ambulanti sono stati oggetto di una grande trasformazione da quando Adbel Fattah al-Sisi ha conquistato il potere con un colpo di Stato nel 2013.

I venditori ambulanti sono alla base di un’economia informale che sostiene più di cinque milioni di egiziani, ma il loro ruolo fondamentale, che li ha trasformati in un obbiettivo per il nuovo regime, è stato il coinvolgimento nella mobilitazione di Piazza Tahrir. In quella piazza, il 25 gennaio del 2011, scesero tantissimi giovani egiziani, attivisti e non, per chiedere e cercare di riprendersi le loro libertà. L’Egitto che nacque da quel 25 gennaio sembrò nuovo, si apriva una nuova stagione, una Primavera appunto. Una stagione bruscamente interrotta dall’ascesa al potere del Presidente al-Sisi. Se gli eventi di Piazza Tahrir avevano portato le persone a mobilitarsi e a convincerli che l’attivismo politico fosse effettivamente il primo passo per una nuova democrazia, il colpo di Stato di al-Sisi ha completamente invertito la rotta. Oggigiorno, attivismo rima con prigionia, gioventù con pericolo e folla con catastrofe. Sono tantissimi i casi testimoniati di giovani scomparsi, torturati fino alla confessione di un reato mai commesso. Non solo, i livelli di sicurezza sono così elevati nelle città che i giornalisti non prendono nemmeno il rischio di andare a cercare delle fonti in quanto temono l’arresto. L‘inverno di al-Sisi ha congelato completamente i progressi fatti nel 2011.

La mobilitazione del gennaio 2011 era stata facilitata dalle reti informali presenti in città, da un lato i social network, dall’altro gli ambulanti. Per evitare che si possa ricostruire una folla di quelle proporzioni, al-Sisi ha deciso di cooptare le reti degli ambulanti, quindi anche il loro sindacato, all’interno del governo, dapprima nominando il capo del sindacato come Ministro del Lavoro, poi concedendo le licenze di vendita dietro coercizione. La possibilità per non dover subire le molestie della polizia o misure preventive arbitrarie è una sola: diventare un informatore della polizia, segreta e non. Si è venuto così ad instaurare un clima di psicosi latente per cui se non veniva individuata una minaccia per tempo, allora la minaccia diventava il cittadino.

Proprio qui inizia la storia di Giulio Regeni. Si dice che non fosse solito ciondolare tra gli ambulanti. Gli era capitato, ma solo a fini di studio, un comportamento che lo aveva messo in contatto con alcuni dei rappresentanti del sindacato, e che in qualche occasione lo aveva portato ad assistere alle riunioni dello stesso. Ma la paranoia latente ha portato progressivamente a temere questo giovane occidentale che parlava arabo e che si interessava proprio di coloro che al-Sisi temeva. Una paranoia che era entrata anche nella cerchia degli amici di Giulio, soprattutto dopo che aveva raccontato che durante una riunione del Sindacato una donna gli aveva fatto delle foto, a lui, in particolare.

Così, quando non si è presentato al bar dove era atteso la sera del 25 gennaio 2016 (una data non casuale), per poi andare a festeggiare un compleanno, il brutto presentimento si è concretizzato. Dal 25 gennaio al 3 febbraio Giulio Regeni

#whereisGiulio Twitter dopo la scomparsa di Giulio Regeni il 25 genaio
#whereisGiulio Twitter dopo la scomparsa di Giulio Regeni il 25 genaio

è scomparso. Preso in custodia, si scoprirà poi, da due agenti in borghese poco prima che raggiungesse la fermata della Metro che da Dokki (Giza), periferia del Cairo, lo avrebbe portato proprio a Piazza Tahrir per il suo appuntamento. Il 3 febbraio, al Cairo era presente l’allora Ministro dell’Economia e del Lavoro, Federica Guidi, che a margine delle riunioni ufficiali presentò al Presidente al-Sisi tutta la preoccupazione del governo italiano circa la scomparsa del giovane. Il Presidente egiziano assicurò di occuparsi personalmente della vicenda e poche ore dopo il corpo esanime del giovane venne rinvenuto in un luogo dismesso a lato dell’autostrada che dal Cairo porta ad Alessandria.

Da quel momento si sono susseguite moltissime versioni “ufficiali” tutte fornite dalla polizia, tutte diverse nelle quali ogni nuova scoperta smentiva la versione “ufficiale” precedente.

Il 4 febbraio, il giornale Al-Watan per la prima volta parla di segni di tortura sul corpo del giovane. Lo stesso giorno, il giornale Al-Youm7 in un’intervista con il Direttore Generale delle indagini assicura che non esiste nessun reato dietro la morte del giovane, che nessun’arma è stata usata e che si tratterebbe in realtà unicamente di un incidente stradale. Le due informazioni troppo contrastanti portano il governo italiano a reagire. L’allora Ministro degli Esteri convocò l’ambasciatore egiziano per cercare di ottenere maggiori informazioni. Nello stesso momento, il procuratore egiziano rivelò all’agenzia di stampa internazionale Associated Press che erano stati rinvenuti sul giovane i segni di una morte lenta. A quel punto, l’allora Primo Ministro Renzi chiamò personalmente al-Sisi per assicurarsi la piena collaborazione tra i due governi.

Pochi giorni dopo, il corpo del giovane fu consegnato all’Istituto di medicina legale Umberto I di Roma. Il referto ufficiale confermò che il giovane aveva subito delle violenze fisiche ripetute per diversi giorni. A rivelarlo vi erano i segni elettrocuzione, le ferite, le incisioni nella pelle e le ecchimosi intorno ai quali era possibile osservare l’inizio del processo di guarigione. La morte sarebbe invece stata provocata da una violenta rotazione del collo, avvenuta quasi certamente tra il 2 e il 3 febbraio.

Il 10 febbraio, venne definitivamente archiviata la possibilità dell’incidente stradale. Nel frattempo, però, la storia aveva raggiunto quasi tutti. Il governo egiziano si mise sulla difensiva (infatti a un certo punto al-Sisi incolperà i media), il Ministro dell’Interno e degli Esteri in due conferenze stampa assicurarono la volontà egiziana di collaborare, ribadendo che non avevano mai trattato o considerato il giovane come una spia o una minaccia. I quotidiani internazionali, però, non abbandonarono il caso e iniziarono le proprie indagini. Dapprima il New York Times, poi lAssociated Press, ma anche Reuters e il Guardian parteciparono in questa indagine acquisendo sempre più materiale, proprio mentre la polizia italiana, giunta al Cairo, dichiarava di avere delle difficoltà a proseguire nelle indagini in loco.

giulio regenIl 21 febbraio, i genitori di Giulio Regeni, in un’intervista a Repubblica chiesero l’impegno di tutti per cercare di capire quanto era successo ma soprattutto il perché. Il giorno successivo, la polizia egiziana rivelò tramite il giornale filo-governativo Al-Youm7 la seconda incredibile versione: Giulio avrebbe infatti avuto una vita piena di ambiguità e molte relazioni anche con uomini. Il 24 febbraio, il Ministro dell’Interno fece pervenire alla stampa una nota nella quale si sosteneva che il movente della morte fosse stato di tipo personale-passionale.

Le indagini rallentarono, le versioni contrastanti, le bugie, rendevano tutto molto più complesso. Nel frattempo poi si venivano a conoscere i particolari delle pratiche della polizia segreta. Le reti e le associazioni di attivisti iniziarono a mettere a disposizione i propri dati sulle detenzioni arbitrarie e sulle torture, sul fatto che tutti i casi fossero sistematicamente archiviati come incidenti stradali. Il timore del coinvolgimento della polizia nella morte del giovane Regeni stava diventando sempre più evidente.

Il 16 marzo, al-Sisi concedette un’intervista a Repubblica, nella quale non disse niente di più di quanto scoperto fino a quel momento. Ma pochi giorni dopo la polizia egiziana dichiarò pubblicamente di aver trovato i responsabili dell’omicidio. Niente più crimine passionale o personale, ma una storia di gang finita male. Cinque giovani egiziani già noti alle autorità per aver organizzato rapimenti e sequestri di stranieri per ottenere dei riscatti erano stati messi in custodia e condannati a morte. Ad incriminarli definitivamente sarebbe stata la scoperta dei documenti e dei tesserini di Giulio Regeni in loro possesso. Una messa in scena attuata dalla polizia che ha finito per aumentare i sospetti sul proprio coinvolgimento.

veritàPer tutti i mesi successivi si sono susseguite reazioni e contro reazioni. Tra documenti trapelati e messe in scena, anche il più filo-governativo dei quotidiani pubblicherà un articolo nel quale tra le righe si intuiva la critica al governo per la gestione completamente schizofrenica della questione. A livello diplomatico, però, le relazioni tra i due Stati non si sono mai realmente interrotte, l’ambasciatore italiano al Cairo è stato richiamato in Italia ufficialmente solo per consultazioni ma la sede è rimasta operativa. La lentezza delle indagini e la relativa morbidezza diplomatica con la quale la questione è stata affrontata hanno fatto sorgere il timore che gli interessi economici che legano i due paesi (Italia è il principale partner europeo dell’Egitto e l’ENI proprio l’anno scorso ha ricevuto la concessione per lo sfruttamento delle risorse di gas naturale offshore egiziano) avrebbero finito per relegare la vicenda nella solita zona grigia di mezze verità. Per evitare questa situazione AmnestyInternational (una ONG impegnata nella difesa e protezione dei diritti umani nel mondo) ha promosso una campagna, Verità per Giulio Regeni, in modo da mantenere sempre molto alta l’attenzione e la pressione politica sul governo, sia italiano che egiziano.

Anche se tutte le piste della vicenda si sono accavallate, intrecciate e annodate per tutto l’anno trascorso, un elemento è rimasto sempre presente ed è riemerso qualche giorno fa. Già dal febbraio 2016, alle autorità era noto il rapporto che legava Giulio Regeni con il capo del sindacato degli ambulanti, Mohammed Abdallah. Prima di natale 2015, Giulio aveva menzionato ad Abdallah la possibilità di inserire gli ambulanti in un progetto per un bando da diecimila sterline messo a disposizione da una Fondazione inglese. Poco dopo aver fatto questa proposta, il giovane aveva detto ai suoi amici e collaboratori di non essere soddisfatto del comportamento di Abdallah e di voler ritirare la proposta. Adballah avrebbe poi raccontato alla polizia che i due si erano incontrati dieci volte (prima versione, nella seconda versione saranno sei), di averlo introdotto tra gli ambulanti (versione smentita dagli ambulanti stessi) e di non averlo più sentito dopo le vacanze di Natale, nemmeno dopo il rientro al Cairo del giovane avvenuto il 2 gennaio. Abdallah nel corso dei mesi ha fornito altre versioni infarcite di bugie, fino però ad arrivare a settembre quando disse di non aver mai voluto allertare la polizia o attirare l’attenzione della polizia sul giovane. Questa ultima rocambolesca affermazione è stata smentita da lui stesso a fine dicembre 2016 quando avrebbe ammesso di aver denunciato Regeni alla polizia mosso dall’”amor di patria”, in quanto il giovane non stava svolgendo delle ricerche sugli ambulanti ma sul loro rapporto con la polizia.

L’altro ieri, 23 gennaio 2017, è avvenuto l’ultimo sconvolgente rovesciamento. Sarebbe trapelato un video fatto con il cellulare, nel quale si sentono Abdallah e Regeni parlare in arabo a proposito dei soldi della Fondazione inglese. L’ultima interpretazione che si può dunque trarre da questa informazione è che vistosi rifiutare i soldi che pensava di ottenere per un vantaggio personale, il 7 gennaio 2016, Abdallah avrebbe detto alla polizia dell’attività di Regeni dipingendolo come una spia 18 giorni prima di scomparire.

Dopo un anno, dunque, manca ancora tutta la verità, ma le supposizioni non sono per niente rassicuranti. In Italia è ancora molto attiva la campagna di mobilitazione promossa da Amnesty che ha coinvolto tante istituzioni della società civile. Tra queste, anche il Comune di Pavia, come testimonia lo striscione giallo sulla facciata di Palazzo Mezzabarba in Piazza del Municipio. Abbiamo voluto parlare della vicenda e della questione con Marco Lardera responsabile delle Campagne di Amnesty per la sezione della Lombardia e attivista della sezione di Pavia di Amnesty e con l’Asssessore alla Legalità del Comune di Pavia Giacomo Galazzo

Domani e dopodomani pubblicheremo le interviste complete.

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