Cultura

A SCUOLA PER IMPARARE A CONOSCERE

di Vincenzo Andraous

Un’amica insegnante mi ha invitato nella sua scuola a incontrare i suoi studenti, perché a suo dire c’è bisogno di accorciare le distanze con la realtà circostante, fare i conti con una informazione spesso incompleta se non addirittura scorretta.

L’esigenza di questa chiacchierata è nata a seguito delle affermazioni che alcuni ragazzi rilasciano allorché l’argomento si incentra sull’Istituzione carceraria, sul concetto di pena-castigo da infliggere agli uomini che infrangono le leggi: i detenuti stanno bene, rimangono a letto tutto il giorno, hanno la televisione, ormai in galera non ci va più nessuno.

A quattordici anni si è un po’ tutti giustizialisti, un po’ giudici e un po’ carnefici, poco propensi a elargire attenuanti, tranne quando la sentenza di condanna riguarda te stesso.

In adolescenza il mondo non è posizionato per come è, ma per come si comporta con te, soprattutto per come risponde alle tue esigenze immediate.

Ma quando ci si confronta con una realtà carceraria al limite del raccontabile, e si parla di utilità e scopo della pena, della trilogia colpa, pena, punizione, occorre avere qualche conoscenza, la più coerente possibile, per non commettere l’errore di interloquire attraverso i soliti luoghi comuni.

Questo non solo per tutela di una Istituzione al limite del collasso come quella carceraria, ma nei confronti di tante persone che sono private della libertà personale, ma anche e ingiustamente della propria dignità e dei propri affetti: questa “pratica” non è contemplata in alcun Codice Penale, Diritto Penitenziario, tanto meno su quella Carta Magna cui tutti siamo tenuti in quanto cittadini italiani.

No, il carcere non è quello romanzato nei  film, stare chiusi in una cella super-affollata 21-22 ore al giorno, senza fare niente, non fa stare bene: ciò riferito a chi ha commesso un crimine, a chi è colpevole e chi è innocente, uomini e donne che scontano la propria pena, che fanno della punizione inflitta un percorso di resistenza, di possibile esistenza, sempre più spesso  di resa e fallimento interiore, ma anche di speranza che non vuole morire, che si prende in braccio e stringe i denti, che non accetta un tempo bloccato, parassitario, replicante le stesse condizioni che hanno  prodotto a suo tempo il reato, lo stesso atteggiamento, lo stesso stile di vita legato all’illegalità e al sopruso.

Quando si parla di galera è facile scaldare gli animi, raccontare quel che non è dato sapere, quel che non è possibile vedere per trovare una consolazione alle nostre paure, frustrazioni, per l’ingiustizia che ci aggredisce, ci umilia, ma rispondere al male ricevuto con altro male non ha mai dato buoni frutti.

Personalmente non auguro il carcere a nessuno, ma a volte mi viene da dire che sarebbe proficuo per ogni cittadino trascorrerci qualche momento, non certamente nell’ufficio del Direttore o nella sala teatro, bensì in una cella spoglia e colorata di mille colori, che però non sono quelli del mondo, bensì di mille storie blindate e anonime, storie dei vinti e degli sconfitti, del sangue e della follia, della malattia, della solitudine che disumanizza.

No, non è un bene costringere un detenuto a stare accovacciato su uno sgabello di legno 22 ore al giorno, obbligarlo all’ozio, alla cecità del cuore e all’ottusità delle  emozioni, inchiodato con persistenza indifferente all’attimo dell’arresto, a perorare occasioni e possibilità nuove di impunità,  invece di una revisione critica del proprio vissuto, che per essere davvero tale abbisogna di aiuto vero, e quindi solidale costruttivo.

Che dire a quei ragazzi se non che il carcere non è una immagine virtuale con cui allontanare sbrigativamente un fastidio, permane uno spazio di castigo e di sofferenza così disperante che spesso si mollano gli ormeggi e ci si  arrende al laccio al collo.

Forse per onorare l’auspicio di un carcere che renda gli uomini migliori di quando sono entrati, più semplicemente occorrerà predisporre la società a recuperare il carcere stesso.

 

 

Un pensiero su “A SCUOLA PER IMPARARE A CONOSCERE

  • I ragazzi di quell’età fanno tanti discorsi di questo tipo: “L’erba del vicino è sempre più verde”, per intenderci. Lo fanno con le carceri, i conventi e con un mucchio d’altre esperienze che, però, guarda caso! non vorrebbero mai condividere. L’abitudine alla chiacchiera è precoce… 😉

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