50 anni de “Il pianeta delle scimmie”
La fantascienza ha dei momenti cardine, delle pietre miliari per cui si può facilmente stabilire un “pre” e un “post”, poiché il Cinema, l’immaginario collettivo e la cultura di massa ne sono stati così profondamente segnati da incidere una netta linea di demarcazione. Il 1968 è di certo l’anno della svolta per lo sci-fi; ma il film che gli consegna questa palma non è The planet of the apes, bensì 2001: Odissea nello spazio.
Il più grave difetto de Il pianeta delle scimmie di Schnaffer è infatti l’essere uscito nello stesso anno di una pellicola di fantascienza talmente importante da trascendere il genere ed essere pressocché unanimemente considerata un capolavoro. Non per questo bisogna però dimenticare che se il masterpiece di Kubrick tratta con novità la tematica dell’Intelligenza Artificiale, il film sul pianeta di primati tratto dall’omonimo romanzo del francese Pierre Boulle riesce ad affrontare molte tematiche che, sul finire degli anni ’60, risultavano moderne e attuali.
Tiriamo le somme della trama: nel 1972, quattro astronauti partono in missione. La loro astronave precipita sulla superficie di un pianeta ignoto e i tre astronauti superstiti (tra cui il comandante Taylor) scoprono di trovarsi nel 3978, sebbene per loro siano passati solo 18 mesi grazie all’animazione sospesa e alla dilatazione temporale. Mentre cercano forme di vita si imbattono in un gruppo di umani primitivi. Improvvisamente il gruppo viene catturato da gorilla armati, e Taylor si rende conto di avere a che fare con una società dominata da scimmie parlanti. Quando queste scoprono che lui, a differenza degli altri umani, è in grado di parlare, cercano di determinare le sue origini. Grazie all’intervento di due scienziati che simpatizzano per la razza umana, Taylor riesce a fuggire.
Il successo della pellicola non fu certo irrilevante, visto che alle numerose nomination ai Premi Oscar si aggiungono una serie televisiva e quattro sequel: L’altra faccia del pianeta delle scimmie (1970), Fuga dal pianeta delle scimmie (1971), 1999 – Conquista della Terra (1972) e Anno 2670 – Ultimo atto (1973). Perfino Tim Burton all’apice del suo successo si fece affascinare dalla singolare saga, dirigendo un deludente e sconclusionato Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie (2001), purtroppo ben inferiore alla pellicola originale finanche negli effetti speciali e nelle scenografie. Infine dal 2011 la solidissima trilogia reboot formata da L’alba del pianeta delle scimmie (2011), Apes revolution – Il pianeta delle scimmie (2014) e The War – Il pianeta delle scimmie (2017 – la nostra recensione) è sbarcata nelle sale, convincendo il pubblico e dimostrando l’attualità dei temi.
Il topos centrale attorno cui si sviluppa la pellicola è la violenza intrinseca nel genere umano, che si affaccia già dai primi minuti, nella riflessione dello statuario Charlton Heston (che si è tradotto dalla guida della quadriga di Ben Hur all’astronave): “L‘uomo, quella meraviglia dell’Universo, l’ineffabile paradosso che ha spedito me fra le stelle, fa ancora la guerra contro i suoi fratelli? Lascia morire di fame i figli del suo vicino?” Ma dopo l’incipit dal sapore classico la trama sembra seguire una strada piuttosto canonica, quella del viaggio di esplorazione, dell’incontro coi selvaggi. Ma all’improvviso si manifesta la novità e così, con l’entrata in scena delle scimmie del titolo, Il pianeta delle scimmie mette in sordina l’avventura e l’azione e si trasmuta in un film profondamente rivoluzionario: una sorta di distopia dai contorni quasi satirici, la descrizione di una civiltà, quella dei primati umanoidi, i cui tratti rispecchiano con agghiacciante puntualità le dinamiche e i comportamenti della società umana.
Ed ecco riaffacciarsi la violenza, che assume la sua principale espressione nel capovolgimento di ruoli tra l’uomo e l’animale. Violenza che si declina in barbarie contro gli animali-uomo schiavi, in razzismo tra le varie specie di scimmie.
A gravare sul film è una messinscena piuttosto canonica, delle scenografie povere ed una fotografia non particolarmente ispirata, ma nessuno dei successori (fino almeno al 2011) è riuscito a fare di meglio. Anzi.
Ma ad aver consacrato la pellicola ai posteri non è la riflessione sociale, ma il finale: uno dei più grandi colpi di scena della storia del Cinema, una drammatica epifania, una tragica rivelazione. La sommità della Statua della Libertà emerge dalla sabbia nella lunghissima spiaggia della zona proibita. Quel pianeta misterioso, dominato dalle scimmie, non è altro che la Terra, in un lontano futuro postapocalittico. Magistrale.