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25 anni fa il primo SMS… e si inizia davvero a scrivere!

I TVB sl lago 2 giovani 1 prete pavido 2 bravi 1 cattivo 1 monaca tormentata la peste a Mi nl 1600 1 frate impavido cmq x end 1 matrim bene vince su male.

Questa è la versione in SMS dei Promessi Sposi, inviata al Corriere della Sera nel 2005, anno in cui si era diffusa in tutto il mondo la vera e propria moda della letteratura via SMS: dal Giappone, in cui il romanzo via SMS era diventato, nei primi anni Duemila, un vero e proprio genere letterario, il fenomeno è poi approdato in Europa, in particolare in Inghilterra, che proprio nel 2005 ha lanciato la moda dei riassunti via SMS dei grandi classici della letteratura, inaugurata da Romeo e Giulietta.

Gli SMS (Short Message Service) sono stati il primo e più grande servizio mobile per inviare brevi messaggi di testo da un telefono all’altro; il loro strapotere è durato almeno fino al 2010, anno in cui si sono iniziate a diffondere a macchia d’olio nuove tecnologie di messaggistica telefonica, tra cui la più celebre, almeno nel nostro paese, è senza dubbio WhatsApp, che si sono pian piano affiancate ai “messaggini” diventandone una valida alternativa nell’uso, fino addirittura a sostituirli il più delle volte.

Gli SMS hanno messo in atto a tutti gli effetti una rivoluzione culturale: per la prima volta nella storia contemporanea del nostro paese la scrittura non è più stata appannaggio esclusivo dei letterati o di coloro che dovevano comunicare, in determinate circostanze di lontananza, le proprie condizioni tramite lettera. Con gli SMS, la scrittura è entrata nell’uso quotidiano di tutti i cittadini italiani, sia quelli più alfabetizzati, sia quelli che non hanno raggiunto un livello sufficiente di scolarizzazione per poter masticare una completa competenza linguistica: non si scrive più solo la lista della spesa, non si scrivono più solo lettere formali o curricula, ma si incomincia a scrivere di tutto, e sempre il più possibile.

Questa nuova forma di comunicazione ha fatto il suo esordio proprio 25 anni fa, il 3 dicembre 1992, quando un computer inviò un SMS di auguri natalizi (il testo era «MERRY CHRISTMAS») ad un cellulare sulla rete GSM Vodafone; nel 1993 invece viene inviato da uno stagista della Nokia il primo di una lunghissima serie di SMS da cellulare.

La nuova forma di comunicazione, oltre ad essere dotata di scrittura, aveva una caratteristica fondamentale, l’essere short: ogni SMS ha infatti un determinato numero di caratteri, che quindi richiedono uno sforzo di sintesi notevole, per evitare che siano necessari più messaggi per scrivere qualcosa (e quindi una tariffazione raddoppiata). Proprio questo bisogno di sintesi, intrinseco nel mezzo, ha portato all’elaborazione di una vera e propria scrittura per SMS, che qualcuno ha definito smsiano. Chi è stato adolescente o giovane a cavallo tra gli anni Novanta e i primi Duemila ha sperimentato questo genere di scrittura, fatto di abbreviazioni, acrostici e libertà grafiche volte a ridurre i caratteri, combinati con le emoticon, neologismo creato per l’occasione fondendo emotion e icon, con il significato di icona emotiva. Chi non ricorda i cmq, i xseo (PerSempreEOltre) e i tvb (TiVoglioBene), e guarda a quegli anni con un misto di schifo, nausea e nostalgia? Questi linguaggi, già sperimentati dalle chat del web, grazie agli SMS sono diventati pane quotidiano, prima fra i giovani e poi di tutti i fruitori di SMS, scatenando non poche polemiche e questioni a riguardo.

Le voci andavano da chi sosteneva che l’smsiano (o smsese) fosse l’unica lingua possibile per gli SMS, a chi invece, strenuo difensore dell’italiano “vero, puro e giusto”, affermava perentoriamente: «io scrivo in italiano anche i miei messaggi!». Una grande questione aperta inoltre fu quella della predizione della morte delle lingue nazionali a favore di un linguaggio internazionale utilizzabile su internet e sulla telefonia mobile, in netta contrapposizione con il linguaggio dei blog, che invece manteneva le caratteristiche più classiche del testo argomentativo.

Oggi, dopo diversi anni, possiamo dire che nessuna di queste paure apocalittiche si è verificata. Qualche d’uno sostiene che alla base dell’incapacità dei giovani di organizzare testi argomentativi (dai temi scolastici fino alle tesi di laurea) stia proprio la cultura dell’SMS, dell’abbreviazione, del testo breve. In realtà, il problema è che la maggior parte dei giovani non è abituata a scrivere, e soprattutto non è in grado di concepire un testo per uno spazio diverso da quello della scrittura quotidiana tramite telefono, in cui è decisamente normale e naturale trovare una lingua meno attenta alla norma, più semplificata nella sintassi, nella struttura e nella grafia. Lo short è poi un paradigma della nostra società: Twitter ha caratteri limitati, gli spazi social di Facebook e Instagram, seppure non limitati, richiedono comunque testi tendenti alla brevità, e così altri spazi su internet. Inoltre, riflettendo, le emoticon non sono nient’altro che disegni che sostituiscono parole, come si faceva perfino nell’età della pietra, quando le immagini traducevano interi concetti, e venivano utilizzati per trasmettere stati d’animo (esattamente come si fa con le emoticon); la k tanto bistrattata, considerata appannaggio dei cosiddetti bimbinchia (Xkè? Ke kakkio vuoi?), è in realtà un segno grafico medievale, presente per esempio nel primo testo riconosciuto della nostra letteratura volgare italiana, il Cantico delle Creature di San Francesco.

Oggi si scrive ancora di più: Whatsapp non ha il limite di 160 caratteri a cui ci hanno vincolato gli SMS per tantissimi anni. Allora forse sarebbe il caso che, così come abbiamo imparato che esistono diversi livelli della lingua parlata, ci rendessimo conto che la stessa cosa accade per lo scritto: così, la nostra scrittura dell’SMS o della chat non inficerà minimamente la nostra capacità di scrivere qualunque altro tipo di testo, anzi, riscopriremmo la bellezza della parola scritta, e non solo di quella parlata.

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