Attualità

Coloro che affrontano la morte

foto di: Jawdat Ahmad

La pressione per l’autonomismo dei Curdi in Iraq ha avuto sempre un rilevanza nazionale diversa rispetto alla Turchia. L’Iraq, come c’è già stata occasione di vedere, è uno Stato che la Gran Bretagna si è inventato alla fine della Seconda Guerra Mondiale, non rappresenta una vera nazione. Le rivendicazioni dei Curdi iracheni sono a parer loro tanto più giustificate dal momento che, oltre la volontà inglese, non c’è realmente nessun motivo per determinare i confini dello Stato iracheno per come li consociamo oggi. Il problema però, è che quest’ultimo ha un grande motivo per rimanere così come lo hanno creato gli inglesi: la parte settentrionale curda e la regione meridionale a prevalenza sciita sono ricchissime di petrolio.

Come nel caso dei Curdi turchi, anche in Iraq la questione curda era stata affrontata nel Trattato di Sèvres del 1920, e anche in questo caso, le promesse furono quanto mai disattese. A livello interno però, l’elevato grado di divisione e una geografia non conciliante impedivano di riunire tutte le fazioni locali del movimento di ribellione curdo sotto un’unica guida. La lotta per l’indipendenza infatti è stata continuamente segnata da cambi di fronte, alleanze e tradimenti sia per la prevalenza delle lealtà tribali, sia per una gestione politica del movimento sempre complicata e difficile.

Il Curdistan iracheno si divide in tre regioni principali: la zona di Rwanduz, al confine con l’Iran, dove gli elementi culturali curdo-iracheni si mescolano con quelli iraniani, la città di Sulaimaniya, nella quale il gruppo curdo è il più omogeneo di tutti, e infine la pianura di Kirkuk e Irbil dove si concentrano i pozzi di petrolio. Le differenze culturali sono grandi e in particolare le lingue risultano sensibilmente differenti, anche se tutti capiscono l’arabo. Nelle zone rurali, la lealtà politica ha sempre fatto riferimento alle divisioni e ai leader tribali. Con l’evoluzione economica e lo sviluppo delle città, una grande parte dei gruppi tribali è stata assorbita nelle dinamiche urbane. Se nella campagna le richieste di autonomia si concretizzavano nel non riconoscere il governo centrale, nelle città queste prendevano la forma dell’organizzazione partitica. Nel 1946, dopo varie rivolte contro l’imposizione di un controllo governativo e amministrativo considerata impropria, il mullah Mustafa Barzani fondò il KDP, Kurdistan Democratic Party, per combattere contro il governo di Baghdad sul piano politico.

Il KDP non aveva all’inizio un programma unico e ben definito, voleva ottenere l’autonomia del Curdistan con ogni mezzo a disposizione. Ben presto nacquero delle divisioni interne tra l’ala conservatrice e tradizionalista guidata da Barzani e quella più marxista di Jalal Talabani. Una divisione però che non si limitava alla politica, poiché la famiglia Barzani era più vicina al gruppo di lingua Kurmanji mentre i Talabani a quello di lingua Sorani. Le due famiglie seguivano anche due interpretazioni diverse della religione musulmana, pur essendo comunque entrambe sunnite. I metodi spesso violenti delle milizie del KDP, i Peshmerga, “coloro che affrontano la morte”, portarono all’espulsione dall’Iraq di Mustafa Barzani. Lui si rifugiò nell’Unione Sovietica lasciando il controllo del KDP e delle milizie all’altra fazione, quella socialista. Quando fu concesso il ritorno del fondatore, iniziarono tutta una serie di lotte intestine che portarono le due fazioni a firmare accordi indipendenti con il governo di Baghdad e con il Partito Ba’ath, senza però che i compagni ne fossero informati. Dal canto suo, il governo di Baghdad si manteneva sempre attivo nella regione, non solo per reprimere le ribellioni, ma anche per non perdere il controllo di zone tutto sommato fertili e, soprattutto, ricche di idrocarburi.

Per tutti gli anni ’60, gli sconvolgimenti di fronte furono all’ordine del giorno all’interno del KDP. I Peshmerga contribuivano a complicare le cose: il fatto che fossero finanziati dall’Iran (sempre pronto a indebolire il proprio vicino) gli permise di acquisire materiali all’avanguardia e una nuova forza negoziale importante, tanto che il partito Ba’ath decise di abbandonare la fazione di Talabani e seguire invece Barzani. Ma i guerriglieri non furono sufficientemente forti da opporsi alle forze del governo. Nel 1975, infatti, Mustafa Barzani fu definitivamente sconfitto e costretto all’esilio in Iran, dove morì tre anni più tardi.

Dopo la sconfitta definitiva di Barzani, il KDP si divise in ulteriori fazioni (sic!), ma alla fine nel 1979, Mas’ud Barzani, figlio del leader riuscì a ricomporre i pezzi ricreando il partito senza però l’ala di opposizione. Jalal Talabani nel 1976 creò il suo patito, il PUK, Patriotic Union of Kurdistan, indipendente dal KDP, ma anch’esso dotato di un proprio braccio armato di peshmerga.

Le relazioni tra partiti curdi e governo furono notevolmente complicate dopo lo scoppio della guerra tra Iran e Iraq nel 1980. Il KDP si pose subito in sostegno dell’Iran, mentre il PUK aveva esitato, cercando di raccogliere maggiore consenso politico tra i partiti curdi minori. Le relazioni divennero talmente tese che, mentre impazzava la guerra a livello nazionale, si aprì un fronte interno di aperta ostilità tra i due partiti curdi maggiori: il KDP voleva sfruttare la guerra e il sostegno dell’Iran per staccarsi definitivamente da Baghdad; mentre il PUK sosteneva che il governo, indebolito dalla guerra, sarebbe stato maggiormente incline alla concessione dell’autonomia. Inizialmente, le azioni di Saddam Hussein sembrarono dare ragione a Talabani, ma in realtà non era che un modo per prendere tempo e aspettare che la guerra si ripercuotesse sui Curdi. Nel 1984, il PUK abbandonò le negoziazioni con il governo e si riconciliò con il KDP. L’unione dei due partiti diede vita al IKF, Iraqi Kurdistan Front, il cui programma era molto chiaro: rovesciare il governo Ba’ath di Saddam Hussein e stabilire uno Stato curdo genuinamente indipendente e autonomo.

D fronte a tale dichiarazione, Saddam Hussein, già impegnato in una guerra dispendiosa con l’Iran, non si fece tanti problemi e diede inizio alla tristemente famosa campagna Anfal. Questa era, in realtà, una politica già seguita in precedenza, che mirava a rimuovere dal nord dell’Iraq tutti gli elementi di etnia curda, nell’idea di “arabizzare” quantomeno la zona di Kirkuk e Irbil, in modo da mantenere la presa governativa sui pozzi di petrolio. L’”arabizzazione” doveva indebolire le forze ribelli dei peshmerga, in quanto responsabili dell’instabilità regionale, ma ne risultò la deportazione di un numero enorme di famiglie curde verso le zone desertiche dell’Iraq. La campagna Anfal subì un notevole climax verso la fine della guerra cn l’Iran, nel 1988. La posizione di debolezza di Saddam, infatti, lo portò a raddoppiare gli sforzi: intensificò gli attacchi contro i Curdi, fino a sganciare le bombe a gas sulla città di Halabaja. Le indagini sugli effetti delle deportazioni e uccisioni di massa sono state completate solo nel 2011.

Nel 1992, ai Curdi fu finalmente concessa una gioia. L’esito negativo della guerra con l’Iran non aveva scoraggiato Saddam, il quale due anni dopo il conflitto aveva invaso il Kuwait. Ne scaturì la Guerra del Golfo, e la posizione del governo a livello interno e internazionale cambiò notevolmente. I Curdi erano diventati sufficientemente forti, in relazione alla debolezza di Baghdad, per chiedere e ottenere l’autonomia regionale. Nacque così il Kurdish Regional Government, KRG, come entità federata allo Stato iracheno.

Le tendenze centrifughe dei Curdi non si placarono e le opposizioni interne continuarono, incentivate dal governo che aveva una necessità disperata di mantenere il controllo sui proventi del petrolio, dopo le enormi spese belliche che aveva dovuto affrontare. Mas’ud Barzani si dichirava favorevole all’accordo proposto di rimanere legati a Baghdad, ma con uno sviluppo di strutture governative autonome, mentre Talabani era contrario. Gli scontri tra peshmerga, dapprima sporadici, si prolungarono per quatto anni dal 1994 al 1998, in una guerra che si può definire civile ma limitata alla regione del Curdistan. Nel 1998 si interruppero perché ai due leaders fu proposto un cessate-il-fuoco soddisfacente sponsorizzato dagli Stati Uniti. Nel 2002, si riunì per la prima volta il Parlamento del KRG e le negoziazioni successive portarono all’adozione progressiva di una nuova Costituzione (2005) nella quale si istituzionalizzava il carattere federato del KRG. Al governo curdo vennero affiancati dei ministeri, tra i quali il Ministero degli Affari dei Peshmerga, una sorta di Ministero della Difesa nel quale però tutte le fazioni di peshmerga venivano riunite sotto un unico leader e finalmente riconosciute come un esercito.

Nel 2003, però gli USA attaccarono l’Iraq nell’intento di rovesciare il regime di Saddam, dando in realtà inizio all’invasione che si è protratta fino al 2011 con conseguenze terribili sullo Stato di cui si stanno pagando adesso le conseguenze. La presenza americana e la guerra hanno riaperto in Iraq tutte le crepe etniche, culturali, religiose e politiche che erano state fermate da Saddam; la destabilizzazione del paese era infatti totale.

Chiaramente, davanti alla debolezza istituzionale del governo di Nouri al-Maliki (Presidente formale dell’Iraq dal 2006, sostenuto dagli Stati Uniti, ma mai veramente capace di riportare i territori ad un controllo statale effettivo) i Curdi hanno rinnovato i propri sforzi per distaccarsi definitivamente da Baghdad. Il KRG ha usato qualsiasi espediente per giustificare un allontanamento nello stesso momento in cui il governo chiedeva maggiore cooperazione nell’affrontare i problemi interni. Tra questi problemi c’era da subito il fervore terrorista interno, prima al-Qaida e in seguito l’Isi, lo Stato Islamico dell’Iraq (che poi diventerà ISIS quando arriverà in Siria dopo il legame con il Jabat al-Nusra).

Il gruppo di al-Baghdadi (ISI) non ha dimostrato immediatamente grande interesse nei confronti dei Curdi iracheni, ma numerosi giovani che si sono arruolati nell’ISI provenivano dal Curdistan. Infatti i peshmerga, che già avevano dovuto combattere con il gruppo terrorista curdo di matrice islamica del Ansar al-Islam, temevano che l’ISI lo avrebbe usato per tentare di rovesciare il KRG dall’interno. Una preoccupazione che aveva due principali motivi: i pozzi petroliferi e l’apertura di una strada verso l’Iran, Stato di riferimento di tutti i musulmani sciiti (che al-Baghdadi vorrebbe eliminare).

Il governo iracheno però, di fronte a tutte queste minacce, ha fornito ai peshmerga un vantaggio inaspettato. A fronte del crescere della minaccia terrorista, li ha lasciati soli a difendere il proprio territorio. La zona controllata dai curdi si è perciò espansa ed è diventata una roccaforte, nel senso che i confini del Curdistan iracheno sono stati notevolmente rafforzati anche in opposizione all’esercito regolare di Baghdad. L’idea era quella di proteggere Irbil, attuale capoluogo curdo ma anche zona di elevata produzione petrolifera e allo stesso tempo cercare di strappare la città di Kirkuk, storica capitale, al controllo del governo.

L’ISIS prospera in queste opposizioni interne, il vantaggio gli viene servito dalla totale incapacità dei vari attori locali di trovare un accordo per la collaborazione. Nel 2014, lo Stato Islamico (cosiddetto) ha catturato la città di Mosul e l’ha scelta come sua capitale, portandosi così pericolosamente vicino al Curdistan iracheno.

La grande complessità interna ha portato Baghdad a tagliare i fondi di approvvigionamento al governo curdo facendolo sprofondare in una grave crisi economica, ma la lotta dei suoi peshmerga continua imperterrita. Forse perché la meta dell’indipendenza, non più solo autonomia, nell’attuale quadro incerto dei confini mediorientali diventa sempre più possibile.

La situazione è chiaramente complessa, e questa spiegazione sicuramente non rende onore a tutte le sfaccettature interne di una lotta, quella dei Curdi nell’Iraq odierno, che si gioca su numerosissimi fronti. Tuttavia l’impegno dei peshmerga nella liberazione delle città non solo irachene, com’è stato il caso di Sinjar, Kirkuk, Dohuk, Sulaimaniya, ma anche siriane, come Kobane, diventa nettamente più comprensibile.

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