ConcorsiLetteratura

1. Profumo di giovinezza

Vi proponiamo “Profumo di giovinezza”, scritto da Luca Viti, racconto vincitore del concorso letterario “Inchiostro a volontà – Dopo la terza birra”, indetto quest’anno da Inchiostro, il giornale dell’Università.

 

–   Finale

Se lo stropicciava ben bene il suo malloppo, lo allargava sul cuscino, lo stendeva coi ditoni goffi, attento a non sgualcirlo; lo stirava, lo lumava un po’, con soddisfazione, poi se lo stringeva forte, allargandosi sulla faccia una contentezza grande grande da bambino imbranato. Ma la testa cominciava a pesargli e gli occhi un po’ cerchiati ad arrossarsi – gli venne un sonno pesante, che non poteva scappare. Tirò la coperta ruvida di lana verde, il lenzuolo bianco, e si disfò sulla branda, col tesoro suo preziosissimo ancora stretto nelle mani. Concesse a quel profumo di giovinezza un ultimo sospiro; poi cadde, addormentato, in un caldo formicolio d’ebrietà.

–   Prologo

Lui puliva, stracco, nei dintorni della piscina termale, e ogni tanto buttava l’occhio alle donne, di là dalla statua d’un Nettuno sbeccato. Come remasse, insisteva con lo spazzolone, avanti e indietro, senza dire una parola, colla pazienza sottomessa degl’invisibili. Nonostante l’aria imperturbabile che c’aveva, quella sua testaccia andava, eccome se andava, sotto i riccioli incanutiti; andava e si impelagava nelle trame di un prurito che s’attacca e morire se va via. Gli veniva quasi il magone a veder tutto quel ben di dio di giovinezza; quasi la nostalgia della primavera.

Quel profumo beato che abbeverava l’atmosfera e alle volte spirava anche, a folate, come un seducente zaffiro orientale, gli saliva fin nelle nari – abituate e un po’ scottate dal disinfettante per il cesso – e sai che bellezza?

Non c’era molta speranza di farsi amare da una di quelle meraviglie di donna, ma a fiutar l’aria col naso all’insù, si poteva far andare l’immaginazione, e a lui ci era abbastanza così, per tenersi allegro.

Quando si faceva sera, e le donne tornavano alle stanze, lui finalmente entrava, ma il profumo – di giorno una malia piena di grazia – piano svaniva, e dissipava nell’odoraccio di cloro e alcool;

chissà dove se ne va quel vento di misericordia…

 –  Spannung

A rimuginarci sopra si rischiava di perderci il sonno – ma quel chiodo, che non c’era verso di cavarlo fuori, gli intoppava qualsiasi altro ragionamento; quella fragranza di latte, inviolata che pareva una mandorla acerba, solo a ripensarci, gli mandava la fantasia fin al limite della decenza. Cercando di distrarsi, ingollò la prima latta di cerveza a basso costo, grattata via da una qualche botte mezza guasta; ma non fu capace di calmarsi, preso com’era da una fregola senza grazia, che di lasciarlo proprio non ne voleva sapere. Alla seconda latta, una straniante ma calda inquietudine cominciò a girargli per il corpo, che faticava quasi a tenersi calmo sul divano: gli cacciò via tutto il suo assopimento e prese a coltivargli uno di quei pensierucci tentatori che affamano il desiderio.

Ma dov’era lui quando c’era da esser giovani e temerari? – e porca nostalgia, si concesse anche una terza latta, col groppo in gola che non c’era verso di scioglierlo.

Ma dove va anche il tempo, che non può aspettare?, che ci ha fretta di partire? E tornava a quell’aroma benedetto, che, tutto ciò che di bello il mondo s’era ripreso, o addirittura gli aveva negato, sembrava restituirgli, con un solo vezzo lieve lieve, una carezza sulla guancia lanosa, un alito di donna, dolcissimo, che lui mai così dolce aveva stretto, obbligato alla spilorceria dello schermo del computer.

Ma che ci poteva fare, non ci usciva proprio da quella sua testaccia – e lo voleva ormai, come fosse un etere benigno nel qual flusso calarvi la faccia sperando che lavi ogni bruttura – un fior di loto, nel cui sapore eccitare il proprio gusto e dimenticarsi, insistere dunque lasciarsi, senza più forze, ad un benessere pastoso e rassicurante.

È che lui in fondo non voleva nient’altro che stare allegro, ma questa volta gli era saltato il grillo d’avere finalmente una cosa bella, che fosse solo per lui, e gli aiutasse l’immaginazione.

Così gli venne l’idea.

Attese le prime ore della mattina, a quell’ora di solito erano poche le ragazze che s’arrischiavano alla piscina; difatti ne scorse solo tre o quattro a rilassarsi nell’acqua morbida e teporosa.

Respirò profondamente, cercando di concentrarsi, si poggiò al manico dello spazzolone, e si lasciò tirare, colla testa annebbiata e allegra, ingenuamente contento, oltre il Nettuno sbeccato, verso lo spogliatoio femminile.

Raggiunse un paio di armadietti chiusi, eccitato d’avventura, allungò i suoi manoni ruvidi, imbranti dalla notte insonne, e provò ad aprirli; insistette e strattonò, racimolò ogni grano di coscienza per star concentrato, fino a che non gli riuscì l’impresa, e forzò la serratura. Vi frugò dentro, palpitante e incosciente, arraffò quel che gli pareva di più avesse l’aroma tanto amato, se lo ficcò nei tasconi della tuta, e se ne andò di volata, abbandonando pure lo spazzolone ai piedi degli armadietti.

–   Epilogo

Non ci volle poi molto perchè lo scoprissero: a parte trovare abbandonato là per terra il suo spazzolone, davanti agli armadietti forzati, ma quando andarono a bussargli l’uscio dello stanzino – che l’avevano visto entrare di filata – lo trovarono così, a letto, addormentato nei fumi di quella birra malnata, abbracciato felice ad un paio di mutandine di chiffon. La direttrice lo svegliò di soprassalto, incredula, gridando e sbraitando, indicando quel misero malloppo che c’aveva fra i diti grossi come fosse un braccio umano nelle fauci d’un cannibale. Ma il povero diavolo, cogli occhi languidi languidi, che pareva una bestia presa a pedate, non faceva che balbettare, mortificato, accavallando le parole in un disgraziato imbarazzo; ma poi che l’ira cieca della direttrice non finiva, a quello ci pareva esagerasse, e allora fece ricorso a un briciolo d’amor proprio che ancora aveva, la fermò d’improvviso e prese a dirci – provate voi! Provate voi a star citi tutto il tempo, coll’acqua in bocca e la buon’anima vostra piena di sale – provateci voi a star chiusi in questa disgrazia di vita, che nessuno vi vede e vi sente. Ma io non è che mi lamenti mica di questo, così vuole il buon Dio e così che sia, ma cisti! potrò anche restar contento una volta o l’altra! Mai io ho pigliato qualche cosa che non mi fosse stato buttato sotto la tovaglia, per la grazia o la pietà di qualcheduno; sempre a bacchettate sulle nocche sono andato avanti, a taser e sbasar la crapa. Io mica volevo far del male, non c’ho mica toccato a nessuno, e benedetta quella birra che m’ha sbrisolato un po’ di spirito, che bastasse a diventare spudorati; e tutto questo solo per snasare ancora il profumo di ‘sto bel mondo, che a me non è mai stato permesso, mica per altro, mica che si chiede il cielo, ma almeno una sberla di sole che passi da questi vetracci foschi, sì; e magari anche un germoglino di gramigna, solo uno, birlato fuori da una crepa sul selciato… Non per altro, ma così, per stare allegri.

Ma questo commosso tentativo non gli valse il perdono della direttrice, che si vide costretta a licenziarlo; però – complice il mancato reclamo della cliente, vittima del furto (e ci mancherebbe) – gli venne concesso, come buonuscita, di tenere il suo prezioso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *