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Internet, ovvero una nuova divulgazione

Internet può essere tutto. Può essere la piazza di chi urla più forte o il salotto di chi sa di più; può essere il baretto di provincia o una conferenza internazionale sugli argomenti più ostici. Come sempre, tutto cambia in base a quello che ci si mette dentro.

Come molti avranno notato, ultimamente online la cultura ha sempre più spazio e sempre più gente cerca e genera cultura, in ogni sua forma. Checché se ne dica, e di certo non mancano i casi in senso opposto, possiamo parlare di una vera e propria epoca d’oro della divulgazione. Non tutta è informazione di qualità, ma tendono ad emergere figure sempre più brillanti nei contenuti e creative nelle modalità con cui si approcciano al pubblico. Probabilmente una buona percentuale dei lettori avrà sentito il nome di Adrian Fartade prima o poi, o di Dario Bressanini, di Alessandro Masala o di Riccardo Dal Ferro. Ma cos’è questa divulgazione e perché oggi ne abbiamo bisogno?

Prima di rispondere ripercorriamo le tappe fondamentali della storia della divulgazione. Una storia che può iniziare nel 1088 con la nascita dell’almanacco, un opuscolo al cui interno venivano esplicati argomenti di ogni sorta e genere, dall’astronomia, all’astrologia, dalla medicina, ai prezzi del mercato. Una prima rivoluzione in senso divulgativo si ebbe poi a metà del 15esimo secolo, quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili e gli almanacchi cominciarono a circolare con maggior frequenza e comparvero di conseguenza le figure dei lettori pubblici che permisero di mettere una pezza all’analfabetismo che avviluppava gran parte della società.

L’analfabetismo continuò a frenare lo sviluppo culturale fino al ‘900, quando tutto cambiò grazie anche ad alcuni eventi epocali: le grandi guerre che avvicinarono il mondo; il boom economico degli anni ’50 che ispirò un ottimismo nel futuro e nella tecnologia; la guerra fredda che fece da propulsore alla ricerca scientifica, soprattutto in campo aerospaziale. Soffermiamoci su questo ultimo punto per un attimo. Due grandi superpotenze si scontrarono per la prima volta sulla cultura e non solo sul campo di battaglia. Dietro ad ogni dimostrazione di forza c’erano le tasse dei contribuenti che ben presto e a gran voce cominciarono a chiedere spiegazioni per quelle enormi spese. Un momento emblematico in tal senso è il discorso del ’62 del presidente statunitense Kennedy che chiede alla nazione di sacrificarsi per raggiungere la Luna.

Per saziare la fame d’informazione nacquero così i grandi programmi culturali. In Italia possiamo ricordare, ad esempio, il Maestro Manzi e il suo “Non è mai troppo tardi”, il Professor Alessandro Cutulo e il suo “Una risposta per voi”; come tralasciare poi Piero Angela che ci accompagna fin dal 1969 (“Il futuro nello spazio”). Oggi però vediamo un’ulteriore evoluzione della divulgazione grazie a Internet, che dopotutto nasce proprio dalla volontà di collegare le università, dunque la cultura, in maniera rapida e globale.

Poniamoci dunque la prima domanda: cos’è la divulgazione?

Ogni materia ha un proprio linguaggio specialistico più o meno lontano dal parlare comune. Man mano che una materia si fa meno generalista e più specifica, il linguaggio si arricchisce di sfumature. Ecco che quindi si creano delle grandi aree di competenze linguistiche, parole per gli addetti ai lavori. Il compito della divulgazione è proprio questo: collegare il mondo interno, altamente specializzato, con il mondo esterno, bassamente specializzato. In parole povere, il divulgatore deve tradurre delle conoscenze settoriali, in conoscenze per tutti.

Fra comunicazione specialistica e linguaggio comune esiste quindi un rapporto piramidale la cui sommità è occupata da LSP, “Language for Specific Purposes”.

LINGUAGGIO SPECIALISTICO

LINGUAGGIO NON SPECIALISTICO PER APPRENDENTI (formazione)

LINGUAGGIO NON SPECIALISTICO PER NON APPRENDENTI (divulgazione)

La piramide va a descrivere come alla base vi sia una lingua comune a tutti i parlanti, una lingua della quotidianità. Sotto questo blocco ricade la divulgazione perché è un discorso diretto a una moltitudine di destinatari.

Nel secondo livello incontriamo gli studenti, cioè coloro che per acquisire una data materia ne imparano la lingua specifica. La comunicazione di questo genere non può essere estremamente settoriale, ma deve prevedere vari gradini di difficoltà crescente, che portano verso la specializzazione che troviamo al vertice.

Nella realtà dei fatti nulla è però così netto e i generi testuali si mischiano continuamente creando mille varianti diverse. Una grande distinzione va fatta in merito ai testi divulgativi e a quelli formativi, cioè l’avanzamento del discorso. Il discorso formativo e specialistico servono infatti per esporre i nuovi argomenti del settore specifico. La divulgazione, per sua natura, non aggiunge elementi, ma li trasforma in una forma comprensibile a molti. Un’altra grande differenza è poi la lingua; nei testi formativi si può intraprendere un percorso graduale che introduce sempre maggiori difficoltà in maniera circolare: il nuovo concetto appena introdotto sarà la base del concetto successivo. La divulgazione invece può permettersi di non creare pre-requisiti, puntando maggiormente a un percorso comunicativo e non didattico.

Fondamentale è poi la terminologia. Tullio De Mauro distingue tre grandi insiemi nel lessico italiano:

  • parole fondamentali: proposizioni, articoli, congiunzioni, pronomi, ausiliari, aggettivi dimostrativi, parole generiche come “cosa” o verbi ambivalenti come “fare”; si tratta di termini ad altissima frequenza e ricorrenza in tutte le forme della comunicazione;
  • parole di alto uso: dette anche “di alta frequenza”, si tratta di parole molto usate ma meno delle precedenti;
  • parole di alta disponibilità: meno frequenti delle altre due categorie, ma comunque molto familiari e quotidiane.

Queste tre categorie coprono il 98% del lessico comune; al lato opposto abbiamo il restante 2% occupato dalla comunicazione specialistica e settoriale, che ha una bassissima frequenza d’uso nella vita comune, ma alta all’interno del proprio campo. Essa non può comunque prescindere dal parlato comune e dunque i due settori si incontrano nel mezzo. Proprio in questa intersezione agisce la divulgazione che deve attingere dal linguaggio comune per tradurre il linguaggio specialistico.

Nasce da sé la necessità di distinguere diversi tipi di pubblico dato che l’informazione generata da ogni testo si rivolge ad un target specifico. Se il linguista Steve Darian distingue 5 testi diversi a cui corrispondono 5 target diversi, oggi l’idea viene superata dal concetto di target segmentation, ovvero l’ulteriore frammentazione delle categorie di pubblico in sottogruppi che condividono delle caratteristiche; un esempio è l’utilizzo di implicazioni etiche se si parla di scienza con un pubblico di religiosi.

Ora che ci è leggermente più chiaro di cosa stiamo parlando, dobbiamo porci la seconda domanda: perché abbiamo bisogno della divulgazione?

Capire il mondo diventa sempre più complesso perché tutto si sposta verso un grado di specializzazione sempre maggiore. Nel tempo della disintermediazione ci illudiamo di poter capire tutto perché andiamo dritti alla fonte, ma ovviamente non è così. Divulgare e informare significa fornire gli strumenti necessari a prendere decisioni sul futuro. Si pensi ai casi degli OGM o dei famigerati vaccini. A qualcuno capita poi di dire che nel tempo di internet l’ignoranza è una scelta. Anche questo è un mito tanto quanto quelli sui vaccini o sugli OGM. Se da una parte è vero che tutti possiamo accedere all’informazione, non è altrettanto vero che tutti abbiamo i mezzi per comprendere a fondo e nel loro insieme tutti gli aspetti che ci troviamo davanti; proprio per questo la nostra è definibile l’era del sapere superficiale: abbiamo il modo, ma non il tempo per informarci su tante cose, né tantomeno ne abbiamo per informarci approfonditamente su poche cose. La divulgazione può però aiutarci in questo, può facilitarci la comprensione degli aspetti più ostici della società e non solo sugli argomenti scientifici, ma anche etici, economici, politici, filosofici e quant’altro.

Parlando di divulgazione non possiamo fare a meno di citare Piero Angela: potrà mai esistere qualcosa in grado di andare oltre le capacità del cervello umano? La risposta – secondo il divulgatore – è sì. Ed esiste già. È il cervello collettivo, l’insieme di tutti i cervelli. Lasciato da solo il cervello umano sarebbe ben poca cosa; la sua forza sta nel collegamento con una fittissima rete di altri cervelli attraverso la comunicazione, attraverso la cultura.

Possiamo dunque concludere che più che le idee, più che i fatti e le nozioni, oggi sia necessario trasmettere la curiosità e un nuovo modus pensandi. Oggi il divulgatore si trova davanti nuove sfide, ma ha anche nuovi modi per affrontarle.

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