Cultura

A passo di danza sul sentiero della Storia

“Esseri umani, piante o polvere cosmica: tutti danziamo su una melodia misteriosa intonata nello spazio da un musicista invisibile”: forse queste parole di Albert Einstein sono in grado di spiegarci perché la danza è una forma d’arte, o meglio un linguaggio, che appartiene all’umanità sin dai suoi albori.

Già al tempo delle caverne, quando ogni cosa era fonte ora di stupore, ora di terrore, la danza al ritmo dei battiti delle mani o dei piedi era un modo per tentare di stabilire un contatto con le forze misteriose che governavano gli eventi della natura; e sappiamo che presso gli antichi Egizi era studiata sin dalla gioventù e praticata sia in occasione di banchetti, accompagnata dal suono dell’arpa, sia di riti religiosi e celebrazioni funebri.

Per non parlare dell’universo greco, dove esisteva un passo di danza praticamente per ogni occasione: feste nuziali, spettacoli teatrali (la danza tipica della tragedia era l’emmelèia, caratterizzata da movimenti solenni, mentre quella della commedia era la kòrdax, generalmente a contenuto volgare); preparazione alla guerra (ad esempio la pirrica, diffusissima a Sparta, durante la quale giovani guerrieri danzavano con armi e armature simulando le pose di attacco e difesa); riti religiosi (in particolare quelli in onore del dio Dioniso, la cui essenza euforica era ben rappresentata dalle Menadi, danzatrici mitologiche invasate che celebravano il dio con movimenti convulsi e irrazionali). Per i Greci, inoltre, la danza non apparteneva solo alla dimensione “terrena”, ma anche a quella “celeste”: secondo Luciano di Samostata, retore, l’origine delle coreografie degli uomini era nel moto armonico degli astri.

E nemmeno i “seri” Romani resistettero al fascino della danza, come apprendiamo da un passo degli Ab urbe condita libri di Livio: “la violenza dell’epidemia non si attenuava… si decise di istituire anche gli spettacoli teatrali, novità assoluta…ed inoltre importata dall’estero…danzatori chiamati dall’Etruria danzavano con movimento armoniosi, secondo l’uso etrusco, con l’accompagnamento di un flautista. La gioventù romana prese poi a imitarli…”. Il legame tra il ballo e il teatro si rafforzò poi in età imperiale, quando si diffuse il genere della pantomima.

Durante il Medioevo, il rapporto con la danza si fece più variegato e, oltre ai più scontati contesti delle feste popolari, animati soprattutto dai balli in cerchio (come la carola), fu presente anche in un ambito dove non ce lo saremmo aspettati: quello del cristianesimo. Alcune testimonianze, infatti, ci raccontano di vere e proprie “coreografie” eseguite dai predicatori nei momenti di maggiore pathos del loro sermone, a volte persino con l’ausilio di “oggetti scenici” come le catene, allo scopo di impressionare l’uditorio e di imprimere con forza il sacro messaggio nella mente dei fedeli.

E come non pensare alle celebri iconografie delle Danze Macabre che, dopo lo scoppio della peste nera del 1348, si diffusero in tutta Europa? Rappresentavano persone di entrambi i sessi e di tutte le estrazioni sociali che danzavano con il proprio cadavere, e quella più antica si trova all’Ospedale degli Innocenti di Firenze.

Da dove deriva questa terminologia? Alcuni studiosi la collegano ad una danza in ricordo del sacrificio dei sette fratelli Maccabei che, torturati barbaramente, pronunciarono parole di fede prima di essere uccisi dal re Antioco IV davanti alla madre; altri ritengono invece che fossero danze eseguite durante il trasporto dei corpi verso il cimitero.

Qualunque sia la vera etimologia, una cosa è certa: la peste aveva falcidiato circa un terzo della popolazione europea, e queste rappresentazioni volevano ricordare ad ogni singolo individuo che la vita era caduca e la morte cieca di fronte a qualsiasi condizione umana.

L’Ottocento fu, in Europa, un secolo di grandi cambiamenti per la danza: non più legata ad un significato specifico, divenne un vero e proprio spettacolo autonomo il cui successo venne consacrato da Giselle, balletto nato da un’idea dello scrittore francese Theophile Gautier, e rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1841. La trama ruotava intorno alle figure mitologiche delle Villi, spiriti di giovani fanciulle infelici perché abbandonate o tradite dal loro innamorato prima del matrimonio, e si inscriveva nel clima romantico di interesse verso le storie d’amore tragico e la mitologia nordica.

La danza si fece dunque applicazione costante, determinazione e fatica, la ballerina divenne la musa di molti artisti (famosissima è la Lezione di danza di Edgar Degas, osservando la quale abbiamo l’impressione di spiare la quotidianità di queste delicate figure da dietro una tenda), fiorirono le scuole e vennero inventate le scarpette a punta nella forma più simile a quella che conosciamo noi.

E oggi? La danza ha sempre più visibilità grazie a talent e competizioni internazionali; gli artisti non lanciano più solo tormentoni musicali, ma ogni nuova canzone è buona per “allestirci sopra” una bella coreografia; su You Tube spopolano tutorial che guadagnano centinaia di visualizzazioni al giorno.

E il palco di un teatro non è più l’unica scenografia possibile per un balletto: c’è il ghiaccio, su cui i pattinatori tentano voli folli e armoniosi; la piazza, che mette in sintonia i cuori di persone che magari si conoscono appena, ma vogliono ballare insieme perché credono in una causa comune, e con la danza sperano di sensibilizzare il mondo; la discoteca, luogo in cui ballo e provocazione spesso si fondono; la nostra cameretta, testimone di buffe movenze sulle note della nostra canzone preferita.

È dunque vero, come diceva Einstein, che un qualche musicista esiste, e non solo è invisibile, ma anche immortale e instancabile, in grado di proporre ad ogni secolo un ritmo diverso. Ma qual è la sua vera identità? È quella forza che muove gli astri, di cui parlavano i Greci? È uno spirito che dimora nei nostri cuori? Un gene che si trasmette di generazione in generazione?

Forse, quel musicista non è altro che l’Universo, che ci spinge a celebrare con la danza la vita di cui esso stesso è custode.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *