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Recensione / C’era una volta in Anatolia

di Erica Gazzoldi


Come ogni anno, a Pavia è stata organizzata la rassegna Pellicole d’autunno, dedicata alla produzione cinematografica d’autore in Italia e all’estero. L’iniziativa è guidata dall’Assessorato ai Beni e alle Attività Culturali della Provincia. La 3^ edizione (2012) vede storiche collaborazioni: quella con la Regione Lombardia – Assessorato alla Cultura e quella con la CIE – Sale Cinematografiche di Pavia. Il dott. Tullio Facchera, gestore della sala, si è presentato di persona alla serata d’apertura (17 ottobre 2012), quasi per rispondere al biasimo seguito alla chiusura del Corallo-Ritz. Ha ribadito la volontà di mantenere aperto il cinematografo di Pavia centrale e di dare ai cittadini la possibilità di scegliere fra pellicole di diversa qualità. In tal modo, ha fatto proprio il sentire dell’associazione “Cinema per Pavia”, dopo averla criticata di recente.
La rassegna è stata aperta da una pellicola turca: C’era una volta in Anatolia, di Nuri Bilge Ceylan. Il film aveva esordito al Festival di Cannes 2011, ottenendo il Gran Prix della giuria. Sobrio, dai ritmi distesi. Il titolo strizza l’occhio a Sergio Leone, nel raccontare il “West” d’Asia affacciato sull’Europa. E davvero i campi lunghi ricordano quelli dei film western, come The Searchers (Sentieri Selvaggi). Qui, i searchers percorrono in auto strade polverose, alla ricerca di un cadavere occultato. È un poliziesco senza giallo, centrato attorno alla “normalità” della violenza. La vera protagonista è l’Anatolia del titolo, con le sue colline, i paesaggi tutti uguali tinti dal rosa dell’alba o rotti dai fari delle auto. La fotografia di Gökhan Tiryaki ritrae anche la quotidianità d’un paesello pastorale, con il suo sindaco dal berretto di lana (Ercan Kesal), le cene a gambe incrociate su un tappeto, i piccoli-grandi problemi per cui manca sempre il denaro risolutore. Vera poesia è l’arrivo della figlia del sindaco: silenziosa, a lume di candela, sa d’apparizione. È bella e “le donne belle hanno un brutto destino”. Come quella che, forse, si è suicidata per punire il marito e ritorna nei ricordi del procuratore Nusret (Taner Birsel). Per il dottor Cemal (Muhammet Uzuner), trovare spiegazioni alle morti è un mestiere. Però, non la trova alla morte del proprio matrimonio, finito senza figli –o sì?
La ricerca del cadavere è guidata dal reo, Kenan (Firat Tanis). L’impressione è che non lo si possa giudicare. Occhi bassi, emaciato, scoppia a piangere senza apparenti motivi. Non si capisce se sia uccisore di un padre o egli stesso padre. In ogni caso, affida il proprio bambino al commissario Naci (Yilmaz Erdogan). Senza sapere che questi ha già un figlio, malato, del quale preferisce dimenticarsi.
Il dramma si snoda tra problemi di prostata, burocrazia e divagazioni sul cibo. Per i dialoghi, qualcuno ha nominato il commediografo Anton Čechov. In effetti, gli scambi di battute mostrano la surrealtà della realtà, in cui chi non ha seminato raccoglie i frutti, gli uomini d’ordine ripetono i gesti degli assassini e l’evidenza viene negata tassativamente.

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