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Lorenzo Cremonesi e “i giornalisti che non vogliono stare in ufficio”

di Matteo Miglietta

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 “Ai giornalisti che non vogliono stare in ufficio” è la curiosa dedica del libro “Dai nostri inviati”. Inchieste, guerre, esplorazioni nelle pagine del “Corriere della Sera” , scritto da Lorenzo Cremonesi ed edito da Rizzoli e dalla Fondazione Corriere. Le semplici parole che aprono il volume “hanno creato qualche malumore quando le ho lette nella redazione del Corriere, il mio giornale, durante la presentazione del libro” ricorda divertito Cremonesi, inviato di più che ventennale carriera autore di articoli memorabili dalle zone di crisi mediorientali, che lunedì scorso era al Collegio Nuovo di Pavia per raccontare la sua esperienza e ascoltare le domande dell’estasiata platea. L’incontro si è svolto nell’ambito del ciclo di conferenze giornalistiche promosse dal collegio e moderate da Sandro Rizzi, ex caporedattore del Corriere e tutor al Master di Giornalismo alla Statale di Milano.
Cremonesi è uno di quegli inviati con la “I” maiuscola, innamorato della propria professione perché innamorato della verità e della capacità di raccontarla, una di quelle persone con un bagaglio d’esperienze talmente vasto che si potrebbe stare giorni interi ad ascoltarlo senza batter ciglio, grazie anche alla sua parlantina sciolta e al suo modo di fare simpatico e spigliato, in grado di mettere a proprio agio chiunque dopo pochi minuti. Una dote fondamentale per chi come lavoro deve conquistare la fiducia delle persone per poi farsi raccontare le loro storie. Sul suo carattere già la dice lunga la dedica citata all’inizio di quest’articolo, ma per capire ancor meglio le sfaccettature della sua indole ruspante al pubblico sono bastati 5 minuti, quando Cremonesi, all’introduzione di Rizzi che ha detto “dovete sapere che molto spesso i giornalisti che stanno in ufficio come me invidiano quelli che stanno fuori, ma spesso sono anche quelli fuori ad invidiare quelli in ufficio”, ha risposto con un divertito “No”.

“Intendiamoci -ha continuato Cremonesi- la mia non vuole essere una polemica contro chi fa il lavoro di desk, perchè non esiste grande inviato senza una grande redazione alle spalle. La mia vuole essere una sorta di metafora perché per capire cosa ci succede intorno bisogna uscire in strada, viaggiare, vivere a contatto con la gente e parlarci, mangiare i loro cibi e leggere i loro libri così da comprenderne la cultura e i modi di pensare. Dico questo perché molto spesso la risposta che ci viene data quando proponiamo una notizia è “non c’interessa perché non c’è nelle agenzie”. Certo che non c’è: è una storia mia! Altrimenti non farei giornalismo ma semplicemente romanzerei le notizie date da altri”. Fra aneddoti tanto divertenti quanto inquietanti sulla vita in Iraq e in Afghanistan, Cremonesi spiega che il sottotitolo che avrebbe voluto dare al suo libro è “contro internet”, non perché sia contrario a al web “che per noi ormai è indispensabile”, ma perché se tutti lo usano come unica fonte, si finisce per dare tutti le stesse notizie. Così la professione giornalistica perde di credibilità alimentando l’idea purtroppo sempre più comune che si possa vivere solo di blog e Youtube, senza la necessità di avere qualcuno che di mestiere faccia il giornalista. “La stampa resisterà solo se riuscirà a vendere dei prodotti unici e originali, mentre oggi la sconfortante realtà è che tutte le maggiori testate danno le stesse notizie”.

Prima della fine dell’incontro si è riusciti a parlare anche del rapimento lampo che ha visto Cremonesi protagonista il 10 settembre 2005, di cui lui parla come di un normale incidente di percorso. Infine un ricordo di Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere morta in Afghanistan nel 2001 e del “generoso” Tiziano Terzani, che Cremonesi ha avuto modo di conoscere proprio in occasione di quel triste evento. “Ma allora chi protegge i giornalisti?” ha chiesto preoccupata una ragazza dalla platea “Nessuno -ha risposto secco Cremonesi- sei tu che devi badare a te stesso”. Lunga vita agli inviati!

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