Attualità

#IJF14 – “A occhi aperti”

Intervista a Mario Calabresi, direttore della Stampa

Paul Fusco che racconta i funerali di Bob Kennedy, Josef Koudelka che descrive i primi istanti dell’ingresso dei carri armati a Praga, John Morris che si commuove ricordando il grande amico Robert Capa. E ancora Salgado, Erwitt, McCullin, Webb, Abbas, Pellegrin, Scianna, Basilico e i tre giovani fotoreporter Alessio Romenzi, Fabio Bucciarelli, Pietro Mastrurzo. Ecco di cosa parla il libro di Mario Calabresi A occhi aperti, presentato al Festival del Giornalismo: uomini che hanno tramandato a noi la storia vissuta con i loro occhi.
Calabresi, riportando le parole di Domenico Quirico – «Per scattare fotografie in guerra bisogna esserci, trovarsi sotto le bombe» – ci racconta di come ha iniziato a interrogarsi su quale fosse il legame tra giornalismo e fotografia, spinto proprio da una conversazione che ebbe con l’amico quando decise di partire per la Siria per raccontare ciò che vedeva con i propri occhi.
Oggi l’osservare è il gesto fondamentale per vivere e ricordare la realtà. Il rapporto tra giornalismo e fotografia è necessario: si completano e mostrano uno sguardo completo sul mondo. «Il vedere è l’esercizio fondamentale del giornalismo. Esiste solo un modo: immergersi in quello che racconti. Buttarsi. Immergersi in un pozzo, nel pozzo della realtà e poi andare più a fondo possibile e riemergere portando più cose possibili addosso, sulla pelle. L’unica cosa che non posso fare è stare sul bordo del pozzo e guardare il riflesso, perché il riflesso non è la realtà. È una realtà falsa» – ha concluso Calabresi leggendo le parole di Quirico.

Inchiostro – L’idea del libro nasce dalla necessità di esprimere la relazione tra fotografia e giornalismo in un mondo così cambiato dalla tecnologia?
Mario Calabresi – Il libro è nato dalla mia passione per la fotografia e da una curiosità crescente per capire quanto pesasse nelle grandi fotografie il metodo, la costanza, la pazienza e lo studio. Volevo capire se i fotografi si erano resi conto nel momento in cui stavano facendo uno scatto che poi sarebbe diventato un pezzo di storia e che, in quel momento, la storia stava passando di lì. Avevo questa necessità, soprattutto in un momento in cui sia il giornalismo sia la fotografia sono spinti a doversi reinventare e cambiare di fronte al digitale, a Internet. Allora ho pensato che andare alla radice delle storie potesse servire a trovare qualche lezione, e la lezione l’ho trovata: quella che la qualità, lo studio e la presenza sono la chiave per fare delle buone fotografie e del buon giornalismo.

Come nasce l’idea del titolo A occhi aperti?
Mi è venuto in mente pensando che la forza del giornalismo e della fotografia è quella di guardare con attenzione e di avere gli occhi ben aperti, di esserci. Il gesto, l’atto fondamentale è quello di guardare, osservare, scrutare la realtà e imprimersela nella mente.

Mario Calabresi

Oggi [3 maggio, ndR] è la giornata della libertà di stampa e nel 2013 l’Italia si è classificata al 57esimo posto. Cosa frena l’Italia nello scalare le classifiche?
Una cosa su cui si potrebbe lavorare, che noi non notiamo a sufficienza ma che all’estero è considerata aberrante, è il fatto che la diffamazione sia considerata un reato penale, cioè che si possa andare in galera. Io penso che se noi cambiassimo questa legge saliremmo le classifiche, perché è un’ingerenza e l’idea che il giornalista vada in galera per diffamazione è una cosa che si trova in Russia, in Turchia ma non è presente nelle altre democrazie occidentali.

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