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“The Wrestler”: tra cinema e realtà

Nel 2008 il regista Darren Aronofsky decise di mettere su pellicola una realtà sportiva relativamente conosciuta in Italia, ma più che mai apprezzata all’estero, specie negli Stati Uniti. Muovendosi attraverso una triste parentesi di vita personale, Aronofsky dirige The Wrestler, film candidato all’Oscar e vincitore di due Golden Globe. Robin Ramzinski (Mickey Rourke) è un wrestler professionista, noto con il ring name Randy “The Ram” Robinson, che durante gli anni Ottanta vive il proprio successo godendosi l’apice della propria carriera. Anni dopo, a seguito di un infarto, Randy verrà costretto dai medici ad abbandonare i combattimenti, ritrovandosi solo, ridotto in povertà e incapace di mantenere qualsiasi rapporto umano, compreso quello fragile e incostante con la figlia Stephanie.

Non riuscendo ad accettare una vita lontano dal ring, Randy riempirà la propria esistenza esibendosi nelle palestre liceali del New Jersey, aggrappandosi al proprio passato e respirando come ossigeno l’adorazione dei pochi fan che ancora si ricordano di lui. Lontano dal wrestling, con non poche difficoltà, Rendy proverà comunque a rimettere insieme i pezzi della propria vita, trovando lavoro part time in un supermercato e sforzandosi di riprendere i contatti con la figlia.
Giorno dopo giorno, le cose sembrano migliorare, portandolo anche a tentare una relazione con la ballerina di lap dance, Cassidy. Purtrppo il rifiuto costante della donna, madre di un bambino e restia a fidarsi di Randy, porterà quest’ultimo a sprofondare nel baratro, rovinando ogni progresso fatto con se stesso e con la figlia, con la quale i rapporti si spezzeranno definitivamente. Non vedendo più nessun futuro davanti a sé, né riuscendo a immaginare un’esistenza lontano dal ring, Randy accetterà un ultimo incontro, una rivincita contro il suo leggendario avversario, l’Ayatollah, mettendo consapevolmente a rischio la propria vita, senza più niente da perdere, deciso a vivere un ultimo momento di gloria a qualsiasi costo. Tra le grida e il tifo del pubblico, la pellicola si spegnerà durante quell’ultimo incontro, con un primo piano sul viso sofferente di Randy, lasciando intendere il peggio sulle note della canzone The Wrestler di Springsteen – il quale ha collaborato con essa alla colonna sonora del film guadagnando un Golden Globe per la migliore canzone originale.

Sei anni dopo l’uscita del film, il 6 aprile 2014 nella città di New Orleans il mondo del wrestling si ritroverà ad assistere a uno degli eventi di maggior successo nella storia di questo sport: la 30^ edizione dell’evento di wrestling più importante dell’anno, WRESTLEMANIA. Un’energia palpabile, elettricità pura nell’aria. Dall’altra parte del mondo, a dieci metri dal ring, in mezzo a 75.000 persone non ho potuto fare a meno di pensare alla pelliccola di Aronofsky, eccitata, sbalordita, mentre davanti ai miei occhi si scriveva una pagina di storia tra le più importantidi questo sport.

The Undertaker

Dopo ventuno anni imbattuto a Wrestlemania, Mark Calaway (conosciuto come The Undertaker) ha perso contro la Bestia del manager Paul Heyman, Brock Lesnar. Sorvolando sul gelo calato sul Mercedes Benz Superdome, sorvolando sulle varie e possibili storyline e sulle decisioni più o meno discutibili prese dal presidente della WWE Vince McMahon, c’era qualcosa di più in quello che stavamo vivendo. C’era un uomo in ginocchio sul ring, da solo, schiacciato da trent’anni di carriera, provato da uno degli incontri più scioccanti nella storia della WWE e stordito da quella che di lì a poche ore si sarebbe rivelata una commozione cerebrale. C’era un uomo che ha dato a questo sport tutta la propria vita e sul quale erano posati 75.000 paia di occhi increduli. C’era un uomo che aveva appena subito una sconfitta, voluta o meno (questo non lo sapremo mai per certo). Ingiusta, se non per se stesso, quanto meno per la carriera d’oro che aveva costruito giorno dopo giorno, con un impegno costante e con devozione tale  da renderlo una vera e propria leggenda in questo sport.

James Hellwig AKA “Ultimate Warrior”

Ma più di ogni altra cosa su quel ring c’era la realtà, non un film. C’era una vita reale, non una meravigliosa costruzione cinematografica o una magistrale prova di recitazione. Perché se è vero che il wrestling è uno “sport entertainment”, se è vero che c’è costruzione e preparazione dietro a ogni esibizione, è altrettanto vero ognuno di quegli atleti dedica anima e corpo a questa realtà, sbagliando sulla propria pelle, crescendo con le proprie forze e diventando, uno tra mille, Mark Calaway “The Undertaker”. E se era quasi surreale trovarsi lì, lo è stato ancora di più rendersi conto di essere parte di qualcosa di più grande. Così come Randy “The Ram” Robinson nel film parlerà ai propri fan – «Molti mi hanno detto che dovevo smettere di combattere, ma gli unici che possono dirmi quando devo smettere di fare il mio mestiere siete voi!» – anche la leggenda del Wrestling James Hellwig, conosciuto come Ultimate Warrior, ha puntato il dito contro ognuno di noi e ha urlato: «Il cuore di ogni uomo un giorno batterà il suo ultimo battito, i suoi polmoni esaleranno l’ultimo respiro. E se quello che l’uomo ha fatto nella sua vita fa pulsare il sangue nelle vene di altri uomini, e gli fa credere profondamente in qualcosa di più grande della vita stessa, allora la sua essenza, il suo spirito saranno resi immortali dai narratori, dalla fedeltà, dalla memoria di coloro che lo onorano e fanno vivere per sempre ciò che quell’uomo ha fatto nella sua vita. Voi siete quelli che hanno reso Ultimate Warrior leggenda. Io sono Ultimate Warrior, voi siete i fans di Ultimate Warrior. Lo spirito di Ultimate Warrior vivrà in eterno!».

Ironia della sorte, solo un giorno dopo averci fatto sentire così partecipi e così uniti, questa grande leggenda del wrestling si è spenta a causa di un infarto, lasciandoci di nuovo sbalorditi, ancora più scioccati, aprendo una voragine nella storia della WWE ma facendoci sentire immensamente grati e onorati di aver potuto assistere all’ultima apparizione di un altro uomo, anche lui reale, che ha fatto di sè stesso una leggenda, lasciando per sempre il segno nella storia del wrestling.
Più di ogni altra cosa, potrò avere l’onore di dire: «Io c’ero».

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