Attualità

L’ennesima strage di una catena infinita

di Tommaso Pepe

Le immagini non hanno bisogno di alcun commento. Basta scorrere lo sguardo sulle file di teli azzurri, stesi per coprire i corpi, per capire di trovarsi di fronte a qualcosa di abnorme. Un naufragio, a soli 800 metri dalla costa di Lampedusa, di una nave con almeno 450 persone a bordo ha fatto sprofondare l’isola in un’emergenza umana e sanitaria. Per il giorno seguente, venerdì 4 ottobre, è stata decretata una giornata di lutto nazionale.

«Venga qui a contare i morti con noi»: questo ha detto in un telegramma indirizzato al primo ministro Enrico Letta il sindaco di Lampedusa, Giuseppina Nicolini. E i morti, si fa davvero fatica a contarli: 90, poi 114 e poi chissà. Si parla di altri 250 dispersi, di oltre 500 vittime. Le salme sono state adagiate prima sulla banchina del porto, poi in un hangar dell’isola diventato un’unica immensa camera mortuaria.
Si tratta d’una sciagura senza precedenti: il più grave disastro marittimo dal dopoguerra e la tragedia più grave verificatasi sulle rotte di migranti nel Mediterraneo che la memoria possa ricordare.
Ma questo non basta. Sottolineare l’unicità assurda di questa ecatombe non ci aiuta a comprenderla. Al contrario, bisogna saper vedere in questo dramma la conseguenza logica, l’esito probabile, destinato a prima o poi a realizzarsi, d’una catena di tante piccole sciagure più o meno ignorate che ogni tanto s’affacciano ai margini della cronaca – non nera ma blu, come il colore del mare.

Basta andare a scorrere l’elenco che la piattaforma “Fortress Europe” aggiorna a ogni naufragio.
Il 30 settembre: 13 persone annegate al largo di Catania.
11 agosto: altri 15 morti.
28 luglio: 31 annegati.
Nel 2012: 79 annegati il 7 settembre.
Il 10 luglio 2012 una nave finisce alla deriva: 54 morti.
8 dispersi in mare il 9 giugno.
4 aprile: un’altra nave alla deriva, almeno 10 morti.
E questo solo per l’Italia, nello specchio di mare stesa fra la Tunisia, la Libia e le coste siciliane. Ma di morti ce ne sono anche nelle rotte fra la Turchia e la Grecia, fra il Marocco e la Spagna e chissà ancora dove. A contarli tutti dal 1988 a oggi viene fuori un numero da capogiro: 19.142 morti negli ultimi venticinque anni, basandosi solo su fonti di stampa, articoli di giornale. Tacendo quindi i naufragi di cui nessuno sa nulla, delle persone abbandonate in mare, di quelle morte sulle coste africane.

Per trovare un termine di paragone occorre andare dall’altra parte del mondo: alla guerra del narcotraffico in Messico. Altri termini di confronto per questa strage continua in Europa non se ne trovano.
La cosa più triste in tutto ciò è una certezza: la certezza che questa tragedia è destinata a ripetersi. È solo questione di tempo, di qualche mese, di qualche anno, di qualche altra nave troppo carica, o troppo malconcia. E staremo ancora a contare i morti. A meno che qualcosa cambi: ma come? Da dove incominciare, da dove partire?

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