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InChiostroVeritas (15) – Volontà di chi?

di Matteo Merogno

Nel I libro del dialogo La Repubblica, Platone fa pronunciare ad uno dei personaggi, Trasimaco, la frase: «Il giusto è l’utile del più forte». Un pretesto per confutare questa affermazione antidemocratica, per celebrare in nome della Giustizia un mondo in cui per essere virtuosi è bene subire l’ingiustizia piuttosto che compierla.

Purtroppo tutto questo, però, ha senso finché si è vivi. Infatti continuo a leggere di suicidi che hanno come motivazione la perdita del lavoro. La miseria. L’angosciante e vergognosa situazione economica, politica e sociale in cui viviamo. Leggo e quella frase di Trasimaco mi sembra vera. L’ultimo caso è quello di un muratore di Torino, mandato a casa in fretta e furia accompagnato dalle parole del suo superiore: «Non c’è lavoro». Una situazione che in modo agghiacciante sembra essere diventata un cliché. Qualcosa di ovvio, di diffuso, che come al solito fa scalpore per qualche minuto e poi sparisce quando termina il telegiornale e ripieghiamo in due il giornale infilandolo nella borsa.
È surreale non poter far niente per trovare una soluzione. È surreale che in tutto questo i più forti si occupino d’altro. Loro: la classe dirigente e politica, i vertici dello Stato. Loro, che sono arrivati a decretare la vita e la morte di qualcuno, come se avessero sputato sulla democrazia. Come se avessimo girato con forza le pagine di un manuale di Storia e ci avessero riportato all’Ancien Régime: solo camuffato, mascherato. E la cosa più sconcertante è che né queste parole, né altro, potranno fare qualcosa per le vittime del nostro tempo. Per coloro che sono morti probabilmente per non perdere la sola cosa che li differenziasse dagli animali: la loro umanità. La loro dignità.
Il filosofo irrazionalista Arthur Schopenhauer spende un numero considerevole di parole contro il suicidio. Lo descrive come qualcosa di inutile, che non potrà cambiare le cose, che ti condurrà alla morte e non impedirà alla Volontà di continuare ad agire. Lei che con la V maiuscola è un principio metafisico potentissimo, è capace di pervadere la vita di ciascuno e farlo oscillare tra il dolore e la noia. Il suicidio riduce solo la potenza della Volontà, ne limita l’intensità, ma non ne cancella l’esistenza. Questa rubrica, che soprattutto davanti al solito ritornello di orrori quotidiani non si sente di credere in qualsiasi entità metafisica, non vuole dare un giudizio sul gesto di togliersi la vita o su chi fa questa scelta, però è spaventata. Inorridita da tutti coloro che faranno passare in secondo piano ogni vittima della crisi una dopo l’altra. A tutti quelli come Schopenhauer che cercheranno di snobbare il suicidio elevandosi a giudici con frasi come «Non doveva farlo. Aveva una figlia. C’è di peggio».

Perché quando questa rubrica ha scelto il motto «Non ridere, non piangere, ma comprendi» ha pensato anche a situazioni come queste. E non asciugandosi le lacrime con un fazzoletto o ridacchiando, ma cercando di capirci qualcosa: davanti al suicidio per motivi economici-sociali di qualcuno, oltre al dolore straziante, intravede anche una domanda: dopo tutto questo, possiamo ancora essere fieri di chiamarci uomini?
Spero che un po’ della risposta a questa domanda sia racchiusa nei passati 14 articoli e in quelli futuri, che mi auguro saranno molti.
I morti sono morti. Ma per Volontà di chi? Chiediamocelo per fare la differenza.

Non ridere, non piangere, ma comprendi!

inchiostroveritas@gmail.com

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