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Recensione/Anna Karenina

Comincia con un sipario chiuso e i brividi delle accordature nell’orchestra. In questo modo, la regia di Joe Wright rende l’idea di quel “teatro della società” senza cui sarebbe incomprensibile Anna Karenina (Gran Bretagna, 2012).
Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Lev Tolstòj (1878) conta, come attrice protagonista, Keira Knightley. Prosegue la sua collaborazione con Wright, dopo Orgoglio e pregiudizio (2005) ed Espiazione (2007), sempre d’ispirazione letteraria. Anna Karenina ha visto la propria ultima proiezione pavese al Politeama il 4 marzo 2013.
La “piratessa dei Caraibi” diventa la troppo giovane moglie d’un ministro zarista, Karenin (Jude Law). Il suo amore, all’inizio, è per il figlioletto. Sembra tutto perfetto, nella vita della “dama virtuosa”. I pannelli del teatro dipingono la Russia del 1874, tra una San Pietroburgo fortemente occidentalizzata e una Mosca con complessi di provincialismo. Uomini-pupazzi, come Karenin e gli impiegati di Stepan Arkadevič Oblonskij (Matthew MacFadyen), tessono un’anima di scartoffie per il Paese. Il teatro sociale è una macchina di cui sono esibite le viscere. È un’operetta, come la definisce Vronskij (Aaron Taylor-Johnson), l’amante di Anna. Dietro le sue quinte, si annidano i fermenti che preparano la caduta degli zar. Si discutono i problemi dell’agricoltura, tra un troppo recente declino del feudalesimo e un lavoro “libero” che non dà garanzie. Levin (Domhnall Gleeson), giovane proprietario terriero, riflette su questo e su molto di più: aspira all’assolutezza morale e ad un illuminismo filosofico. Ma si deve arrendere a ciò che razionale non è: l’amore per la contessina Kitty (Alicia Vikander). Le due coppie innamorate –Kitty e Levin, Anna e Vronskij- sembrano essere le uniche creature viventi, fra tanti “uomini vuoti”.

“Le famiglie felici si assomigliano tutte; ogni famiglia infelice, invece, è disgraziata a modo suo”, scriveva Tolstòj in apertura del romanzo. Non appena si scoperchia il vaso di Pandora che è quell’uniformità della “felicità”, i volti dei sentimenti vengono a galla e sono nerissimi. C’è chi vive comodamente in adulteri che sono segreti di Pulcinella, c’è chi si barcamena tra dissolutezze e un divorzio attardato da questioni futili, c’è chi si concede un’indulgenza negata agli altri, con un boccacciano “è meglio pentirsi per averlo fatto che per non averlo fatto”. Tutto ciò non fa al caso di Anna e Vronskij. «Per noi, non possono esserci che miserie… O la felicità più grande», le dice lui. È fatta: la signora perbene abbandona la famiglia, per vivere pienamente l’amore. Infrange le coreografie bugiarde dell’operetta. Ma, quando un essere vivente vuol rompere i meccanismi in cui è incastrato, è giocoforza che essi lo schiaccino. Nemmeno la passione è amica: è cibo per l’affamato, ma anche un treno che non guarda in faccia a nessuno, sulle proprie rotaie.

@EricaGazzoldi

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