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“Sguardi puri 2.0” / Il rosso e il blu

di Erica Gazzoldi

Sguardi Puri 2.0 prosegue nel mostrare le varie forme dell’amore. Come con Monsieur Lazhar, lo fa parlando di scuola. Il rosso e il blu (Italia, 2012) ci porta nelle aule di un liceo romano, sotto la regia di Giuseppe Piccioni. Rosso e blu sono i colori della matita dell’insegnante. Fanno il verso al Rosso e al Nero in cui il giovane Julien Sorel, nel romanzo di Stendhal, cercava il proprio “posto al sole”. Sono anche le tinte di entusiasmo e depressione, strafottenza e dolore. Queste sono le facce del piccolo mondo né antico né moderno, dove la vita si trascina tra l’assenza di motivazione e quella del minimo necessario in termini materiali. È rossa la dedizione del supplente di Lettere, il prof. Prezioso (Riccardo Scamarcio). È blu il male di vivere del prof. Fiorito (Roberto Herlitzka), che in ogni generazione di liceali non vede i volti degli allievi, ma quelli dei suoi vecchi compagni, che non capivano la sua passione precocissima per la storia dell’arte. È un vecchio coltissimo e misantropo, come il Giacomo Leopardi che contrappunta le vite dei ragazzi.
Il film, finanziato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Lazio, è tratto dall’omonimo libro di Marco Lodoli (Einaudi, 2009). Davanti allo spettatore, si svolgono gli intrichi nascosti dietro parole algide (“abbandono scolastico”) o gergali (“bimbominkia”). Fenomeni dati per scontati svelano i propri segreti spinosi: la depressione precoce; il senso di soffocamento in un “sistema” rifiutato; la sfiducia verso se stessi; i pregiudizi etnici; le famiglie fragili o inesistenti; il misurarsi con una cultura indicata come eccelsa, ma a cui ci si sente inadeguati. Un insegnante appassionato si trova invischiato in questo mondo “esterno” alla scuola, sebbene un imperativo non scritto cerchi di estraniarlo da esso. La stessa preside (Margherita Buy), portavoce di questo imperativo, deve cedere, davanti all’irrompere della vita di un suo allievo. Anche se la paura del coinvolgimento affettivo aleggia alle spalle.
Proprio il riscoperto rapporto con gli alunni può salvare una vita al tramonto e, apparentemente, senza senso. Quelle teste “vuote” si aprono come fiori, quando un professore getta la corazza e consegna un pezzo di se stesso.
Le storie dei ragazzi e dei loro insegnanti restano aperte. Niente lieto fine, ma neppure un’ultima parola. Solo la consapevolezza che il “piccolo mondo” non può più ignorare ciò che va costruendosi sotto le sue finestre.

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