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“Sguardi puri 2.0” / Monsieur Lazhar

di Erica Gazzoldi

C’è una somiglianza sinistra, fra la miopia politica e quella pedagogica. La prima vuol vedere un’Algeria “tornata alla normalità”, dopo che la politica di “riconciliazione nazionale” ha riversato fuori dal carcere molti terroristi. La seconda s’illude d’aver guarito una classe di ragazzi dallo shock per il suicidio della maestra, obbligandoli a distrarsi dalla questione.
Bachir Lazhar (Fellag) sa che sono autoinganni collettivi, neanche troppo pii. Il regista di Monsieur Lazhar (Canada, 2011), Philippe Falardeau, ha pescato a piene mani dal proprio bagaglio di laureato in Scienze Politiche. È approdato al cinema per caso. La disoccupazione l’ha portato a partecipare a un reality show, che prevedeva la realizzazione di numerosi cortometraggi, in giro per il mondo. Ha vinto la gara. Il Politeama di Pavia ha posto in programmazione la sua pellicola per il 19 e il 20 febbraio 2013, nel quadro della rassegna Sguardi Puri 2.0.
Come regista, Falardeau ama osservare i bambini. Anche questa pellicola si apre con un’inquadratura dall’alto, che scoperchia una scuola elementare di Montreal. Nel quadro d’una normale ricreazione, il cadavere impiccato d’un’insegnante viene rinvenuto nell’aula ove lei lavorava, in vita. Mentre l’istituto cerca di “tornare alla normalità”, Bachir Lazhar, algerino, si presenta come sostituto. Comincia presto il confronto fra usi e costumi differenti. La pedagogia del Québec prevede spirito di gruppo fra allievi, una condotta molto “rilassata” nei confronti dei docenti e un programma di studio poco impegnativo. Si aggiungano le differenze tra rami diversi della stessa lingua, il francese. La critica al sistema educativo, però, verte soprattutto sulla svalutazione dell’insegnante. Gli si richiede di “intrattenere” gli alunni in aula, senza domandar più di tanto e, soprattutto, evitando il contatto umano. Anche abbracciare un bambino in lacrime può essere fonte di biasimo. “Lei dovrebbe pensare a fare il professore, non a educare”. Questa frase, pronunciata da due genitori, è emblematica. Eppure, Lazhar, con la propria solidità paterna, riesce a far rielaborare il lutto dei bambini ben più di quanto vi riesca l’annacquata professionalità della psicologa. La sua battaglia per far uscire i piccoli dalla “crisalide” s’incrocia a quella per ottenere lo status di rifugiato politico. Nel complesso, né le istituzioni politiche, né quelle educative escono magnificate da tutto questo. A loro si deve il fatto che l’ “albero” sorreggente la “crisalide” venga incenerito al cuore. Un insieme di drammi personali e collettivi raccontato con pennellate da commedia, in quadri di mai banale quotidianità.

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